Oggi l'ok della Camera alla riforma del Csm. Guai al Senato?

Ermes Antonucci

Oggi pomeriggio l’aula della Camera darà il via libera alla riforma Cartabia sull’ordinamento giudiziario e sul sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura. Al Senato l'esame del testo rischia di allungarsi, ma il governo esclude la fiducia

Oggi pomeriggio l’aula della Camera darà il via libera alla riforma Cartabia che contiene una delega al governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e norme immediatamente applicabili per quanto riguarda il sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura, il cui rinnovo è previsto per luglio. Dopo i pesanti scossoni delle prime settimane, i partiti della maggioranza (esclusa Italia Viva) hanno raggiunto un accordo sul testo di riforma, rendendo possibile una votazione “tranquilla” degli emendamenti predisposti dalla Guardasigilli e dei vari articoli di cui si compone il disegno di legge. L’unica novità rilevante rispetto a quanto era emerso dall’esame della commissione Giustizia è stato l’abbandono del sistema del sorteggio dei collegi per l’elezione del Csm, con il ritorno al sistema elettorale inizialmente elaborato dalla ministra (maggioritario binominale con correttivo proporzionale). Un miracolo, se si considerano le pesanti divisioni che in principio hanno attraversato la maggioranza. Una volta approvato, il testo approderà in Senato, ed è lì che si teme una riesplosione delle tensioni.

 

“I voti di oggi sono l’inizio del percorso della riforma sul Csm che dovrà essere completato al Senato”, ha dichiarato nei giorni scorsi Giulia Bongiorno, responsabile giustizia della Lega, dando l’idea che nell’altro ramo del parlamento il Carroccio potrebbe non limitarsi a votare il disegno di legge così com’è, ma anche avanzare proposte di modifica. Lo stesso, teme l’esecutivo, potrebbe fare il partito guidato da Matteo Renzi. A quel punto tutto diventerebbe più complicato. Non solo per l’allungamento della discussione, ma anche perché, in caso di modifiche, il testo dovrebbe ritornare alla Camera per il via libera definitivo, con il rischio di concludere l’iter a maggio inoltrato.

 

Si tratterebbe di uno scenario difficile da gestire per il governo, dal momento che la riforma imporrebbe tempi tecnici strettissimi alla ministra della Giustizia Cartabia per la ridefinizione dei collegi elettorali previsti per l’elezione dei membri togati del Csm. Dalla determinazione dei nuovi collegi alle elezioni dovrebbe poi trascorrere almeno un mese. Basti pensare che, in occasione dell’ultimo rinnovo dell’organo di governo autonomo delle toghe, la convocazione dei magistrati alle urne a luglio da parte del capo dello Stato avvenne il 9 aprile 2018. In altre parole, siamo già oltre i tempi massimi.

 

E’ per queste ragioni che in alcuni ambienti parlamentari si vocifera addirittura che il governo potrebbe porre la fiducia sul testo al Senato, ipotesi tuttavia negata da fonti ministeriali. In effetti, se ciò accadesse, si sarebbe di fronte a una sconfessione della promessa fatta dal premier Draghi a febbraio in Consiglio dei ministri, e poi ribadita agli inizi di aprile, di non mettere la fiducia sulla riforma: “La mia intenzione è mantenere fede alla promessa – ha ripetuto Draghi il 6 aprile – Spero che le forze politiche lo prendano come un segnale di democrazia e si mostrino collaborative”.

 

Anche la magistratura associata attende impaziente l’approdo del testo di riforma al Senato. La decisione dell’Associazione nazionale magistrati di non proclamare immediatamente uno sciopero contro la riforma, bensì di attendere il passaggio in Senato si è basata (almeno a parole) sulla speranza che il testo possa essere modificato. “C’è stata una contrazione dei tempi alla Camera e speriamo sia funzionale a dare al Senato la possibilità di una discussione più ampia” e che possa essere “l’occasione perché alcune delle nostre osservazioni critiche siano prese in considerazione”, ha dichiarato il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia. In realtà, a frenare la proclamazione dello sciopero è stata soprattutto la presenza di diverse voci dissenzienti all’interno della magistratura, preoccupate che l’iniziativa potrebbe rivelarsi un boomerang per le toghe, che già godono di scarsa credibilità nell’opinione pubblica.