Le giuste archiviazioni sulle morti nelle Rsa. A insistere è solo la procura di Bergamo
Da nord a sud, i magistrati archiviano le indagini aperte per i decessi avvenuti negli ospedali durante la prima ondata di pandemia. Resta in piedi solo l'inchiesta avviata dalla procura bergamasca, che ormai sembra più politico-mediatica che giudiziaria
Fa bene al cuore, almeno quello dei garantisti, sapere che tutte le procure del paese (tranne una, ma ci arriveremo tra poco) stanno chiedendo di archiviare la montagna di indagini aperte sulle morti avvenute negli ospedali e nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) durante la prima ondata di pandemia da Covid-19. Le ipotesi di accusa erano gravissime: epidemia colposa, omicidio plurimo, lesioni colpose. A colpire è il fatto che siano proprio gli organi dell’accusa a chiedere ora l’archiviazione di questi procedimenti.
L’ultima procura a farlo è stata quella di Cremona, che mercoledì ha chiesto l’archiviazione dell’indagine per epidemia colposa, omicidio e lesioni colpose aperta in relazione alle morti e ai contagi in otto Rsa della provincia cremonese durante la prima ondata della pandemia nel 2020. Secondo gli inquirenti, sebbene la gestione dell’emergenza non sia stata del tutto idonea, complice l’eccezionalità dell’evento, non si possono attribuire responsabilità sulla base di regole e conoscenze individuate in un secondo momento. Per i pm, infatti, “le scarse informazioni scientifiche circa le caratteristiche del virus, la sua elevata trasmissibilità e la gravità della conseguente malattia non hanno agevolato la predisposizione di idonei protocolli anti-contagio, la loro trasmissione alle Rsa, l’informazione dei dipendenti e dei pazienti in ordine al rischio del contagio”. Nel provvedimento, i pm fanno anche riferimento alla “conclamata scarsità” dei tamponi, così come all’impossibilità, in assenza di autopsia, di determinare la causa esatta della morte dei pazienti.
In precedenza, era toccata alla procura di Milano chiedere l’archiviazione dell’indagine simbolo della presunta “strage di anziani” durante la prima ondata della pandemia: quella a carico degli amministratori del Pio Albergo Trivulzio, storica casa di cura milanese. Anche qui, i pm non hanno rintracciato alcuna evidenza tra l’operato di dirigenti e medici e la morte dei pazienti, soprattutto alla luce delle “caratteristiche straordinarie di diffusione e letalità” del fenomeno pandemico. La procura di Milano ha chiesto di archiviare anche le indagini che riguardano altre sette Rsa lombarde.
Prima ancora, sono state le procure di Torino, Como, Lodi e Bari, solo per citarne alcune, a chiedere la chiusura dei fascicoli di indagine per la gestione dei pazienti nelle Rsa e dei malati di Covid. Insomma, da nord a sud del paese le procure stanno procedendo ad archiviare le inchieste che, sull’onda delle solite tendenze giustizialiste dell’opinione pubblica, miravano a trovare i colpevoli per le morti avvenute durante una delle peggiori pandemie della storia.
Solo una procura, al momento, sembra resistere nella difesa della propria inchiesta (che, però, ormai sembra avere ben altre finalità): quella di Bergamo. Dopo aver aperto un’indagine con l’ipotesi di epidemia colposa per la gestione dell’ospedale di Alzano Lombardo, dove nel febbraio 2020 vennero ricoverati i primi pazienti positivi al coronavirus, gli inquirenti hanno esteso l’inchiesta fino alla mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana e pure al mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale. Insomma, vista l’oggettiva difficoltà di addebitare ai dirigenti delle strutture sanitarie la diffusione del contagio e l’aumento dei decessi, i pubblici ministeri bergamaschi hanno esteso le indagini alle scelte politiche adottate in piena autonomia dal governo, tanto da ascoltare come persone informate sui fatti non solo i vertici della Regione Lombardia, ma anche l’ex premier Giuseppe Conte e il ministro della Salute Roberto Speranza. In un’intervista, il procuratore di Bergamo, Antonio Chiappani, si era persino spinto a dichiarare che il ministro Speranza “non aveva raccontato cose veritiere”, prima di correggere il tiro e precisare che contro il ministro non vi sono elementi per alcuna contestazione.
Non è chiaro quando la procura bergamasca chiuderà l’indagine, ma visto l’andazzo che hanno preso le indagini nel resto del paese, quella dei pm di Bergamo rischia di prendere le forme di un’inchiesta più politico-mediatica che giudiziaria.