Crolla il caso Cpl Concordia: storia di uno scandalo giudiziario
La Corte di cassazione ha annullato le condanne nei confronti dei vertici della coop modenese. Si chiude definitivamente una vicenda giudiziaria durata otto anni. Una figuraccia completa, targata Woodcock e Maresca
E’ passata completamente inosservata la conclusione (fallimentare) di una vicenda giudiziaria durata la bellezza di otto anni, e che racchiude in sé i principali mali della giustizia italiana. Parliamo del caso Cpl Concordia. L’inchiesta viene avviata nel 2014 dai pm napoletani Henry John Woodcock, Celestina Carrano e Giuseppina Loreto, con il supporto dei carabinieri del Noe (Sergio De Caprio e Gianpaolo Scafarto). I vertici di Cpl Concordia, una delle più grandi cooperative del paese, vengono accusati di corruzione in relazione agli appalti per la metanizzazione dell’isola di Ischia.
Nel marzo del 2015 l’inchiesta porta all’arresto dello storico presidente di Cpl Concordia, Roberto Casari, di altri dirigenti della multiutility e del sindaco Pd di Ischia, Giosi Ferrandino. La vicenda finisce sulle prime pagine dei giornali, gli schizzi di fango arrivano a toccare Massimo D’Alema, per via di alcune bottiglie di vino vendute alla cooperativa, e persino Matteo Renzi, con la pubblicazione di intercettazioni penalmente irrilevanti tra lui e il generale Michele Adinolfi. Tre mesi dopo, sugli indagati si scaglia un’accusa ancora più grave: concorso esterno in associazione mafiosa. Ad avviare il nuovo filone di indagine sono i pm della Direzione distrettuale antimafia napoletana, Catello Maresca e Cesare Sirignano. Interviene persino Luigi Di Maio: “Siamo convinti che le cooperative siano una cerniera tra corruzione politica e mafie”.
Ferrandino (coinvolto nel filone sulla corruzione) trascorre ventidue giorni in carcere e tre mesi ai domiciliari. Casari, indagato in entrambi i procedimenti, finisce in carcere due volte, ed è costretto abbandonare la guida di Cpl Concordia, che in quarant’anni ha trasformato da piccola coop in un colosso del settore, con un fatturato da oltre 400 milioni di euro e 1.800 dipendenti. Le inchieste portano all’immediata esclusione di Cpl Concordia dalla white list per la ricostruzione post sisma in Emilia-Romagna, alla perdita dei contratti e al commissariamento. Tra contratti non sottoscritti o rescissi e danno reputazionale si calcolano 180 milioni di euro di danni. Insomma, dalle indagini e dal loro clamore mediatico derivano non solo sofferenze immani per le persone indagate, ma anche ingenti danni sul piano economico per tutto il paese.
Come sono andate a finire le inchieste? Nel processo per camorra Casari e altri dirigenti della Cpl Concordia sono stati assolti in primo e grado e in appello. La procura non ha fatto ricorso e nel luglio 2020 l’assoluzione è diventata definitiva. Il processo per la presunta corruzione si è diviso in due. A Napoli Giosi Ferrandino, oggi europarlamentare del Pd, è stato assolto in via definitiva. L’ex sindaco di Ischia era stato assolto sia in primo grado che in appello con formula piena “perché il fatto non sussiste” (i pm avevano chiesto sei anni e quattro mesi di carcere). Dopo sei anni l’accusa si è arresa e non ha presentato ricorso con la sentenza, che è definitivamente passata in giudicato. Il processo sui presunti corruttori si è invece celebrato a Bologna. Qui, per ragioni oscure, Casari e gli altri imputati sono stati condannati in primo grado e in appello (con il reato derubricato in istigazione alla corruzione). La contraddizione si è risolta pochi giorni fa, quando la Corte di cassazione ha annullato le condanne per le presunte tangenti. Una figuraccia completa, targata Woodcock e Maresca, due tra i magistrati simbolo del paese (il secondo nel frattempo è pure entrato in politica).
Ma da una vicenda così assurda non ci si poteva attendere un epilogo normale. Poche ore dopo la sentenza della Cassazione, infatti, il procuratore di Modena, Luca Masini, è intervenuto con una nota stampa per precisare che la Suprema corte non ha annullato la sentenza di condanna della corte d’appello di Bologna per insussistenza del reato, bensì per intervenuta prescrizione del reato. Come a suggerire all’opinione pubblica che gli imputati, in fondo, si sono salvati solo grazie alla prescrizione. L’iniziativa del procuratore modenese appare veramente fuori luogo, non solo perché ancora non sono state depositate le motivazioni della sentenza della Cassazione, ma soprattutto perché sembra solleticare gli istinti forcaioli dei cittadini, evitando peraltro di ricordare che “prescrizione” significa innanzitutto fallimento della giustizia nel portare a termine un processo in termini ragionevoli e civili. Chissà se il ministero della Giustizia o il Csm, vista anche l’entrata in vigore della normativa sulla presunzione d’innocenza, decideranno di intervenire sul caso.