La schizofrenia di Salvini sui referendum sulla giustizia
Il segretario della Lega denuncia "la lobby del silenzio" attorno alla consultazione referendaria, ma è il primo a farne parte: per mesi non ha proferito parola e continua pure ad alimentare il giustizialismo
Leader (anziché follower) si nasce e Salvini, tristemente, non lo nacque. Non si può spiegare altrimenti la schizofrenia mostrata dal segretario della Lega attorno ai cinque referendum sulla giustizia, previsti il prossimo 12 giugno. La scorsa estate, l’ex ministro dell’Interno mobilitò l’intero partito per supportare la raccolta firme con i Radicali, tempestando quotidianamente gli organi di informazione e i social network con appelli in favore di una giustizia giusta. A tutto ciò si accompagnò un bollettino costante sull’andamento delle adesioni (“Già raccolte 100 mila firme”, “superate le 200 mila firme”). Dopo lo scandalo Palamara, lo spirito anti-toghe animava l’opinione pubblica e il segretario della Lega decise di seguire l’onda, scoprendosi improvvisamente garantista. A Ferragosto, annunciò il raggiungimento di 500 mila firme e l’intenzione di arrivare al milione per ciascun quesito.
Poi a fine ottobre qualcosa andò storto. Anziché depositare le firme in Cassazione (“fra 700 e 750 mila adesioni per ognuno dei sei quesiti”), i vertici del Carroccio decisero di far avanzare la richiesta di referendum abrogativo da cinque consigli regionali a guida centrodestra, lasciando i Radicali fuori dai giochi (fu Roberto Calderoli, coordinatore della campagna, a rendersi conto probabilmente che buona parte delle firme raccolte dai banchetti leghisti non avrebbe superato lo scrutinio in Cassazione). A febbraio la Corte costituzionale ammise cinque quesiti referendari su sei (escludendo quello sulla responsabilità diretta dei magistrati). Salvini esultò: “Dopo trent’anni saranno finalmente gli italiani a fare la riforma della giustizia”.
Era il 16 febbraio. Da allora, per quasi tre mesi, il segretario della Lega non ha più proferito parola sui quesiti referendari. Nessun intervento pubblico, nessuna intervista, addirittura nessun post sui social, nonostante la sfida difficilissima rappresentata dal raggiungimento del quorum. Ad aprile, interpellato dal Corriere della Sera, Salvini ha spiegato così il suo silenzio sui referendum: “I primi cinque titoli dei tg sono sulla guerra, il sesto e sul Covid, il settimo sulle bollette. Parlare di separazione delle carriere dei magistrati è difficile: per questo preferisco parlare di casa, di risparmi e magari flat tax”. Insomma, una confessione piena, anche se non voluta: “Cosa volete da me? Io sono un follower, mica un leader”. Segue il flusso, Salvini. Sa che il tema giustizia non tira più nell’opinione pubblica come prima, che soprattutto il raggiungimento del quorum appare impresa quasi impossibile (complice anche l’inammissibilità dei quesiti riguardanti l’eutanasia e la cannabis). Tanto vale, allora, adattare la macchina comunicativa del partito alla bulimia informativa sulla guerra. Tanto vale continuare a postare sui social post sui cinghiali a Roma e sui cuccioli di cane maltrattati.
Questo silenzio si è improvvisamente interrotto sabato scorso, quando Salvini, intervenendo a un evento a Modena, ha denunciato la “lobby del silenzio” che avvolge il referendum del 12 giugno. Non si è accorto che di questa lobby anche lui ha fatto parte fino a oggi. In maniera ancora più paradossale, il segretario leghista ha rilanciato sui social questo intervento proprio poche ore dopo aver pubblicato un suo solito post forcaiolo. Nel post Salvini alimenta l’indignazione popolare sulla vicenda dell’assoluzione di Alejandro Meran, che il 4 ottobre 2019 uccise due poliziotti, Matteo Demenego e Pierluigi Rotta, durante una sparatoria in questura a Trieste: “Mancanza di rispetto per gli agenti morti, per le loro famiglie e per i colleghi”. Non scrive, Salvini, che l’imputato è stato dichiarato incapace di intendere e volere, sulla base di una perizia chiesta dalla corte. Che a chiedere l’assoluzione dell’uomo è stata la stessa procura. Che è il nostro codice penale a prevedere che non sia possibile condannare una persona con vizio totale di mente. Che all’uomo sarà applicata la misura di sicurezza detentiva del ricovero in una Rems per la durata minima di 30 anni. Ciò che conta è seguire il flusso, quello della forca.
Non pago, lunedì in una nota il garantista Salvini ha anche annunciato un’interrogazione urgente sulla vicenda, definendola “una vergogna insopportabile”. Due ore dopo, si è presentato alla sede del Partito radicale per un incontro sui referendum sulla giustizia: “Tanti non sanno cosa accade il 12 giugno, non sanno che si votano i referendum. Il sistema ha paura”, ha detto, prima di tornare nella lobby del silenzio.