Intervista a Calderoli, il "giustizialista pentito" che però inneggia all'ergastolo
Il senatore leghista fa mea culpa e si dichiara "garantista convinto". Nel frattempo, però, invoca "gli ergastoli, quelli veri, senza eccezioni" per i casi di femminicidio. Intervistato dal Foglio, il vicepresidente del Senato conferma la sua strana concezione di garantismo
“Devo fare ‘mea culpa’ su alcune mie valutazioni del passato sul diritto: ringrazio il Partito radicale per aver trasformato un giustizialista pentito in un garantista convinto”. Il passaggio di Roberto Calderoli da giustizialista a giustizialista “pentito” ce l’eravamo perso, ma la trasformazione a garantista convinto, annunciata lunedì sera a un evento del Partito radicale, non può passare inosservata. Lo ricordavamo come uno dei leghisti più oltranzisti, sempre pronto a cavalcare notizie di cronaca (soprattutto se riguardanti immigrati) per alimentare il forcaiolismo dell’opinione pubblica, e ce lo ritroviamo garantista. Come il suo segretario, Matteo Salvini, che ha deciso improvvisamente di mettere a disposizione la macchina del partito per raccogliere le firme per i referendum radicali sulla giustizia. E’ una notizia. Dunque telefoniamo di prima mattina a Calderoli, vicepresidente del Senato, che al Foglio conferma: “Se si segue ciò che accade all’interno della giustizia non ci si può voltare dall’altra parte. Mille ingiuste detenzioni all’anno, e quindi tre al giorno, sono una cosa insostenibile in un regime democratico”.
“Recentemente c’è stato l’anniversario di Mani pulite – aggiunge Calderoli – Io ero uno di quelli che incoraggiava e sosteneva Di Pietro. Sono andato a rivedermi i numeri. Se nel 1992 nell’inchiesta milanese furono coinvolte circa 2.500 persone, per più di tremila procedimenti, e nel 2000 in carcere c’erano quattro persone, mi chiedo quanto carcere preventivo ci sia stato a cui dopo non sia seguita una condanna. Ho fatto tante riflessioni su questi passaggi”.
Va bene, Calderoli, ha ripensato la sua concezione del diritto ed è diventato garantista. Però se scorriamo la sua pagina Facebook si leggono post non proprio in questa direzione. Ad esempio in un messaggio pubblicato il 30 marzo e dedicato ai femminicidi ha scritto: “Le belle parole non bastano più, servono gli ergastoli, quelli veri, senza riti abbreviati…”. Calderoli ci interrompe subito: “Ma guardi che essere garantista non significa essere contrari alla certezza della pena. Io sono per la certezza della pena. Una volta che c’è una sentenza passata in giudicato, quella pena deve essere scontata”. Certo, però lei ha scritto che “servono gli ergastoli, quelli veri, senza riti abbreviati, senza sconti, senza attenuanti, senza eccezioni”. “Penso che quando ci si trova di fronte a certi tipi di reati odiosi certi sconti di pena siano inadeguati”, afferma Calderoli.
“Le cito solo due episodi tornati di attualità negli ultimi giorni – aggiunge – Il primo è quello della ragazza che aveva ucciso una signora in metropolitana infilandole un ombrello negli occhi: è uscita dal carcere dopo dodici anni e il risarcimento alla famiglia della vittima dovrà essere pagato dallo stato perché la ragazza è nullatenente. Mi chiedo se un omicidio, con le modalità con cui è stato eseguito, sia meritevole di soli dodici anni. Poi c’è il caso dei due poliziotti uccisi a Trieste”.
Il primo caso a cui si riferisce Calderoli è quello di Doina Matei, condannata in realtà a sedici anni e scarcerata dopo dodici anni per buona condotta (non risulta che dopo la scarcerazione si sia macchiata di nuovi reati, mentre all’epoca della condanna era effettivamente nullatenente). Il secondo caso è quello di Alejandro Meran, assolto – perché incapace di intendere e volere – per aver ucciso due poliziotti nel 2019 in questura a Trieste. Su questo testiamo il garantismo di Calderoli: “Senatore, anche Salvini ha definito la vicenda ‘vergognosa’ e ha annunciato un’interrogazione urgente. Però la perizia disposta dalla corte ha stabilito che quest’uomo è infermo di mente, è stata la stessa procura a chiedere l’assoluzione perché secondo il nostro codice penale non si può condannare una persona malata di mente, e comunque dovrà trascorrere almeno trent’anni in una Rems”. “Questo lo vedremo – replica Calderoli – però mi sembra che il padre di uno dei due carabinieri uccisi abbia contestato il fatto che la corte abbia usato una sola perizia. Non vedo perché il padre debba dire una cosa falsa. Potrò farmi anche un’idea personale, leggendo quello che dice il padre?”. Nessuno lo nega, ma da un garantista ci aspetteremmo un diverso approccio alle decisioni dei tribunali italiani.
D’altronde, per non farsi mancare niente, sempre a fine marzo Calderoli scriveva: “Violenze sessuali, ripensare a castrazione chimica: votiamo la mia proposta di legge”. Insomma, il garantismo sembra piuttosto lontano.