L'intervista
Il giudice Cioffi e il pm Itri: “Colleghi, votiamo sì al referendum”
I cinque quesiti referendari, su cui gli italiani potranno esprimersi il 12 giugno, agitano i magistrati. Ma c'è chi, tra i togati, spinge per andare a votare per "smetterla di lamentarsi della mala giustizia"
C’è chi dice no, anzi sì. I cinque quesiti referendari, su cui gli italiani potranno esprimersi il 12 giugno, agitano la corporazione togata. “Io voterò e voterò sì – dice al Foglio il sostituto procuratore di Napoli Paolo Itri, membro dell’Anm, in quota Magistratura indipendente, fino al 2020. “Poi mi sono dimesso, dopo lo scandalo Palamara. Gli accordi spartitori tra le correnti erano noti a tutti. Ma a quel punto ho detto basta e mi sono tirato fuori. Le correnti sono un fenomeno eversivo”. Lei ne ha fatto parte. “Ho aperto gli occhi e ho imparato dalla mia esperienza. In seno all’Anm e alle correnti ci sono persone che combattono contro questo sistema”. Venendo al referendum, dottor Itri, lei voterà sì a tutti i quesiti? “L’unico su cui nutro qualche dubbio è quello riguardante la custodia cautelare in carcere. L’Italia non può permettersi alcuna forma di lassismo. La questione centrale è che il magistrato sia una persona dotata di equilibrio e professionalità”. I test psicoattitudinali per chi decide della libertà altrui sono un buon viatico? “Non sono contrario ma dai magistrati dobbiamo pretendere professionalità. La riforma Cartabia è un pannicello caldo perché non tocca le correnti. Se c’è una cosa che minaccia l’indipendenza dei magistrati sono le correnti, non la politica”. Per pm e giudici carriere separate? “Sono favorevole alla separazione delle carriere anche se non è il primo dei nostri problemi. La normativa vigente impone diversi paletti, come l’obbligo di cambiare funzione e regione. Tuttavia, se il divieto assoluto può servire a pacificare gli animi, non mi oppongo”.
E sulla valutazione dei magistrati? “Non temo il giudizio degli avvocati ma ritengo che sia un rimedio poco efficace. Mi domando fino a che punto gli avvocati si sentiranno liberi di giudicare un magistrato che desidera avanzare in carriera con il rischio di ritrovarselo in un processo. Quanto al Csm, mi sembra positivo lo sforzo referendario per estendere la possibilità di candidarsi per il Csm ma non mi illudo che questo possa ridurre lo straripante potere correntizio. Servirebbe un approccio più coraggioso sul sistema elettorale. Esempio? Il sorteggio temperato”.
Al tribunale di Napoli nord il giudice Giuseppe Cioffi, con un passato associativo nell’Anm, nelle file di Unicost, spiega che andrà a votare perché “è un’occasione per far sentire la propria voce con l’espressione libera del voto. I quesiti potevano essere meglio formulati, tuttavia sarebbe auspicabile una maggiore informazione, gli italiani non sanno su che cosa si andrà a votare”. Nel merito dei quesiti? “Sposo le opinioni espresse da Carlo Nordio sulla necessità di sostenere i referendum. O si va a votare o bisogna smetterla di lamentarsi della mala giustizia. Oggigiorno mi ritrovo inaspettatamente a condividere le posizioni di illustri magistrati come Bruti Liberati o Maddalena, in passato ‘antagonisti associativi’. Quando l’ex procuratore della Repubblica di Milano critica il processo mediatico o l’astensione dei magistrati contro la riforma Cartabia sono con lui”. E i referendum? “Voterò a favore, pur con qualche caveat. Sulla valutazione dei magistrati i meccanismi di controllo esistono già ma è giusto apportare modifiche. Non possiamo pretendere di restare immutabili”. Sul carcere preventivo? “Esistono esagerazioni ed esasperazioni nello stesso concetto ‘custodiale’. La carcerazione preventiva è stata caricata di significati e funzioni che non dovrebbe avere, anche a causa della durata eccessiva dei processi. E ciò è inammissibile, perché la libertà individuale è un bene supremo”. Sulla incandidabilità dei condannati in primo grado? “La norma in questione è stata dettata dall’urgenza di assecondare un’istanza punitiva proveniente da una parte della società e della politica. Anche in questo caso l’eccessiva durata dei processi incide negativamente: se l’accertamento giudiziario verso un politico si completasse in pochi mesi, non servirebbero automatismi normativi”.