L'incredibile caso del senatore Esposito, intercettato senza autorizzazione per tre anni
L'ex parlamentare Pd captato oltre 500 volte senza il via libera del Senato (in violazione della Costituzione) e poi rinviato a giudizio. La giunta per le immunità di Palazzo Madama vota per sollevare un conflitto di attribuzioni tra poteri dello stato di fronte alla Corte costituzionale
E’ stato intercettato oltre 500 volte pur essendo senatore, senza alcuna autorizzazione del Parlamento, quindi in completa violazione della Costituzione. Protagonista dell’incredibile vicenda, arrivata all’attenzione della giunta per le immunità del Senato, è Stefano Esposito, ex senatore del Pd ed ex assessore ai Trasporti del comune di Roma. La vicenda riguarda proprio il periodo in cui Esposito ha ricoperto la carica di senatore (dal 2013 al 2018). Tutto inizia nel 2015 quando la procura di Torino apre un’inchiesta nei confronti di Giulio Muttoni, noto imprenditore dello spettacolo (definito “il re dei concerti”) e amico di lunga data di Esposito, tanto da fare da padrino al battesimo di una delle figlie di quest’ultimo.
Gli inquirenti indagano sull’azienda di Muttoni ipotizzando addirittura infiltrazioni e condizionamenti da parte di esponenti della criminalità organizzata. Muttoni viene sottoposto a continue intercettazioni telefoniche, che fin da subito, vista l’amicizia che lega i due, finiscono per coinvolgere anche conversazioni con Esposito. La Costituzione, però, all’articolo 68 stabilisce un principio molto chiaro: i membri del parlamento non possono essere sottoposti a intercettazioni senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza. Nel caso in cui l’intercettazione venga effettuata in maniera casuale, cioè fortuita, l’autorità giudiziaria deve chiedere un’autorizzazione successiva. La polizia giudiziaria e i pubblici ministeri (Paolo Toso e Antonio Smeriglio), tuttavia, anziché fermare l’attività di captazione delle conversazioni tra Muttoni ed Esposito, identificato chiaramente (già dopo sole tre settimane) persino in un’annotazione della polizia come “senatore della Repubblica italiana” e interlocutore abituale dell’imprenditore, continuano a intercettare i due. Alla fine le conversazioni riguardanti Esposito intercettate – senza alcuna autorizzazione del Senato – saranno oltre cinquecento.
Quando l’ipotesi investigativa sulle infiltrazioni mafiose cade, nei confronti dell’imprenditore vengono aperti nuovi procedimenti, stavolta da parte del pm Gianfranco Colace, che valorizza il contenuto delle conversazioni che riguardano Esposito captate nella prima inchiesta, e che in teoria – vista l’assenza di autorizzazione del parlamento – sarebbero inutilizzabili. Paradossalmente vengono disposte altre intercettazioni. Esposito viene indirettamente intercettato per tre anni. La polizia giudiziaria, il pm e persino i gip, che di volta in volta dispongono la proroga delle intercettazioni, ignorano le prerogative riconosciute dalla Costituzione ai senatori. Dalla mole di intercettazioni, alla fine il pm arriva ad avanzare ipotesi di reato anche nei confronti dello stesso Esposito, che viene indagato per turbativa d’asta, corruzione e traffico di influenze illecite, con l’accusa di aver favorito Muttoni sulla vicenda di un’interdittiva antimafia.
Il pm Colace giunge a chiedere il rinvio a giudizio per Esposito, portando a sostegno delle accuse 130 delle oltre 500 intercettazioni realizzate senza alcuna autorizzazione del Parlamento. Il colmo viene raggiunto lo scorso primo marzo, quando il gup di Torino dispone il rinvio a giudizio nei confronti di Esposito, Muttoni e altri soggetti, anche qui senza ritenere di dover chiedere – come previsto dalla Costituzione e dalla legge (la n. 140 del 2003) – l’autorizzazione al Senato. Insomma, la Costituzione ridotta a carta straccia.
Di fronte a queste incredibili continue violazioni della legge, Esposito si è rivolto a Palazzo Madama, lamentando la violazione delle norme a tutela delle prerogative parlamentari. Nei giorni scorsi la giunta per le immunità del Senato ha dato ragione a Esposito, votando a larga maggioranza un provvedimento (che ora dovrà essere approvato anche dall’assemblea) che solleva un conflitto di attribuzioni tra poteri dello stato di fronte alla Corte costituzionale. Non solo, tale è lo sfacelo compiuto dalle toghe torinesi che la giunta ha anche approvato la proposta del presidente Pietro Grasso (ex magistrato) di avanzare, dopo il voto dell’assemblea, e tramite la presidenza del Senato, “una segnalazione al ministro della Giustizia, al procuratore generale presso la Corte di cassazione e al Consiglio superiore della magistratura, finalizzata ad attivare nei confronti dei magistrati competenti un procedimento disciplinare in relazione alle violazioni dell’articolo 68 della Costituzione, nonché della legge n. 140 del 2003”.