(foto di Ansa)

questione di miti

Luciano Violante ci spiega cosa insegna il mito di Medea nella lotta alla mafia

Annalisa Chirico

L'ex magistrato e la lotta a Cosa nostra in Sicilia: "ricordiamo Falcone e Borsellino ma i magistrati morti sul campo sono molto di più". La tragedia greca che ci riporta alla scelta tra la vita e la dignità

“Vale più la vita o la dignità?”, con questa domanda Luciano Violante firma la rilettura del mito di Medea, la madre responsabile dell’assassinio dei propri figli che, nel monologo interpretato da Viola Graziosi con la regia di Giuseppe Dipasquale, diventa eroina positiva. “Tra la vita e la dignità, Medea ha scelto la seconda – risponde al Foglio il presidente emerito della Camera –. Se Medea incarna il riscatto, Giasone è la Sicilia che uccide. Lei elimina i figli per sottrarli al destino di schiavitù cui sarebbero condannati da un padre che non esita ad abbandonarli per diventare re di Corinto”. Dopo lo spettacolo a Palermo nella chiesa di San Domenico davanti alla tomba di Giovanni Falcone, nel trentennale delle stragi, c’è stata la messa in onda, ieri, su Rai5.

 

I magistrati che hanno pagato con la vita la lotta alla mafia meritano di essere a loro volta “mitizzati”? “Il filosofo Saturnino Sallustio, amico dell’imperatore romano Giuliano nel I secolo d.C., diceva che il mito è eterno perché non è mai esistito. I giudici uccisi dalla mafia sono esistiti, esattamente come i capimafia che non sono personaggi eroici ma soggetti criminali”. Eppure, come dimostra il successo di diverse serie tv, certi mafiosi esercitano fascino e, in alcuni casi, ammirazione. “Il poliziesco attira. In determinate aree del paese il capomafia continua a godere di una forma di rispetto per la sua capacità di intimidazione e violenza, oltre che per la ricchezza di cui può fare sfoggio. Ma la mafia è oggetto di una riprovazione sociale condivisa che è il risultato di una vittoria dello stato, che è riuscito a disarticolare il sistema mafioso”. Il problema è la memoria selettiva: si ricordano Falcone e Borsellino ma i magistrati morti sul campo sono ben più numerosi. “Esistono le vittime illustri e le vittime che non si ricordano. La democrazia va avanti sulle gambe degli umili”.

 

Lei, negli anni da parlamentare impegnato nella lotta alla mafia, ha vissuto le contraddizioni di una terra bellissima e “buttanissima”. “Ho lavorato per diciotto anni in Sicilia e ho visto tante tragedie dopo l’assassinio di La Torre. Ho visto tanti eroi che hanno avuto il coraggio di scegliere il proprio destino, preferendo la dignità alla vita. Uno tra i primi fu Cesare Terranova, che ricordo molto bene. E poi ero amico di Rocco Chinnici che mi presentò il giudice Falcone. Queste persone hanno scelto un destino non imposto”. Come Medea, in una terra piena di contraddizioni. “La Sicilia è terra di scontri e riscatti.  L’asprezza di Palermo e la morbidezza di Siracusa, il freddo delle Madonie e il caldo di Lampedusa, la misericordia dei preti che seguono i bambini poveri e la violenza contro don Pino Puglisi… Potrei continuare”.

 

La ferocia sanguinaria di Cosa nostra è un ricordo lontano. “A distanza di trent’anni tutto è cambiato. Il Monde ha dedicato un dossier alle mafie nel mondo, con un quadro che rende chiaro un punto: la mafia non è un problema solo italiano. La presenza di gruppi organizzati che tendono a controllare le relazioni economiche, sociali e, quando possono, anche politiche è un dato diffuso. La globalizzazione ha avvantaggiato gli scambi illegali, oltre che quelli legali. Quanto all’Italia, abbiamo raggiunto risultati inimmaginabili per l’epoca, adesso resta da realizzare la parte sociale dell’antimafia”. In concreto? “Il tema decisivo è lo sviluppo dei diritti sociali. Se da un terreno togli tutti i sassi, il terreno non riprende a fiorire. Contro la mafia servono lavoro, efficienza della pubblica amministrazione, rispetto dell’ambiente”.

 

“Medea” è parte di una trilogia, da lei inaugurata con la rilettura di “Clitemnestra”. Le donne al centro. “Nel mito le figure femminili sono molto più complesse e interessanti. Medea è una donna combattiva che insegna l’autodeterminazione. Anche contro la mafia non basta parlare: bisogna agire. Possiamo ricordare quello che vogliamo, organizzare tutte le commemorazioni che vogliamo, ma non possiamo toglierci il cappello ogni 23 maggio per poi lasciare le cose come stanno. Quelle persone si onorano lavorando affinché le condizioni favorevoli alla mafia non si creino mai più”. La magistratura associata, che fece la guerra a Falcone, ha imparato la lezione? “Penso di sì. Negli anni, abbiamo assistito a una degenerazione morale, a un eccessivo corporativismo, con l’esercizio della funzione giurisdizionale considerata come potere e non servizio. Negli ultimi tempi la consapevolezza del ruolo è cresciuta”.

  

Il 12 giugno si voteranno i referendum sulla giustizia, promossi da Lega e Radicali. Uno dei quesiti riguarda l’incandidabilità dei condannati in primo grado. “Sono contrario agli automatismi, devono essere i partiti ad avere il coraggio di espellere le persone indegne. La politica deve smetterla con questa cessione di sovranità. E poi resta il problema dei cittadini: questi candidati li votano oppure no?”.

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