la sentenza
Tutti assolti al processo sul “Sistema Rende”. Il racconto di Principe
Il tribunale di Cosenza ha assolto tutti gli imputati del processo basato su un presunto patto tra politica e 'ndrangheta. Intervista a Sandro Principe: "Ho patito tante sofferenze, dieci anni della mia vita buttati in un cestino"
Tutti assolti, a distanza di dieci anni dall’inizio dell’inchiesta e dopo un processo di primo grado durato quattro anni. Mercoledì il tribunale di Cosenza ha assolto tutti gli imputati del processo denominato “Sistema Rende”: gli ex sindaci del comune rendese Sandro Principe (più volte deputato per il Psi e sottosegretario dei governi Amato e Ciampi) e Umberto Bernaudo, e gli ex assessori Pietro Paolo Ruffolo e Giuseppe Gagliardi. I reati contestati agli imputati erano quelli di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione in atti amministrativi aggravata dal metodo mafioso. La pubblica accusa aveva chiesto la condanna di Principe a nove anni di reclusione, di Bernaudo a otto anni, di Ruffolo a sette anni e sei mesi, e infine di Gagliardi a due anni. Tutti assolti con la formula più ampia “perché il fatto non sussiste”. Non è esistito nessun “Sistema Rende”. Alla lettura del dispositivo, Sandro Principe è scoppiato in lacrime, abbracciando i suoi legali, gli avvocati Franco Sammarco e Anna Spada.
Il processo era nato da un’inchiesta avviata nel 2012 dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, il procuratore aggiunto Vincenzo Luberto e il sostituto Pierpaolo Bruni. L’operazione deflagrò nel marzo 2016, con l’emissione di misure cautelari nei confronti degli esponenti politici (Principe trascorse tre mesi ai domiciliari). Secondo la Dda di Catanzaro, i rappresentanti politici avevano stipulato un patto “politico-mafioso” con la cosca Lanzino-Ruà, il cui principale esponente era Adolfo D’Ambrosio. A fronte del presunto sostegno elettorale da parte della ‘ndrangheta in occasione delle elezioni dal 1999 al 2011 per il rinnovo del consiglio comunale di Rende, ma anche del consiglio provinciale di Cosenza e del consiglio regionale della Calabria, i politici avrebbero compiuto condotte amministrative in favore della cosca, come la concessione di locali pubblici e assunzioni presso cooperative di persone ritenute contigue al gruppo criminale.
Al centro di questo presunto intreccio politico-mafioso ci sarebbe stato proprio Principe: “Principe veniva ritenuto colpevole dall’accusa sulla base del suo carisma politico – spiega al Foglio l’avvocato Anna Spada – Si riteneva che nulla potesse essere deciso senza il suo avallo e il suo benestare, anche quando non era sindaco ma semplice leader della coalizione. La cosa singolare è che mai nessuna condotta concreta è stata contestata nei suoi confronti, non c’è mai stato nessun atto a sua firma”.
L’evanescente impianto accusatorio dei pm alla fine è stato completamente bocciato dai giudici, e ora Principe può salutare la fine del suo calvario. “Chiaramente in questo momento c’è grande soddisfazione, ma l’amarezza rimane per aver visto dieci anni della propria vita buttati in un cestino, senza una ragione plausibile”, afferma Principe al Foglio. “Ringrazio i miei familiari, che in questi anni hanno retto, e i miei legali, che hanno smontato questo teorema sul piano giuridico”. “Ho patito tante sofferenze e ciò che mi ferisce ulteriormente è che la vicenda ha finito per coinvolgere anche Rende, che si distingue nel panorama meridionale per essere una città ordinata urbanisticamente, nella quale negli anni abbiamo inserito tutti gli elementi per costruire una comunità forte e anticorpi rispetto alla devianza. Siamo probabilmente l’unico comune in Italia che ha costruito chiese”, aggiunge Principe, che nel 2004 fu ferito in maniera gravissima al volto da un colpo di pistola sparato da uno squilibrato proprio mentre partecipava alla cerimonia di inaugurazione di una chiesa.
“Sono un credente, il Padre eterno mi ha dato un carattere molto resistente. L’importante, se si cade, è rialzarsi. Ho avuto la forza di farlo dopo l’attentato, poi è arrivata questa vicenda giudiziaria”, dice Principe. Una vicenda che inizialmente lo portò tre mesi agli arresti domiciliari: “Li ho subiti come una grande umiliazione – ricorda ora l’ex sindaco di Rende – Tenga conto che due volte al giorno i carabinieri passavano per verificare se ero in casa. A volte sono venuti anche alle quattro del mattino, quando avevo ancora una figlia in casa”.
Senza dimenticare l’onta di vedersi affibbiata per sei anni l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. “Intimamente mi sono sentito mortificato, ma ho avvertito la vicinanza della città. Questo mi ha sollevato, anche se mi sono sentito colpito da un’ingiustizia enorme”, conclude Principe.