La cronistoria

“Scusi, lei spaccia?”: com'è nato il folle cinepanettone di Salvini a Bologna

Ermes Antonucci

Così il leader della Lega organizzò la visita-show al quartiere Pilastro di Bologna per citofonare a casa di una famiglia di presunti spacciatori. Il risultato è stato quello di complicare le indagini che da mesi la magistratura stava svolgendo sullo spaccio di droga nel quartiere

La scena da immaginare è simile a quella di un cinepanettone. Il titolo potrebbe essere “Vacanze al Pilastro”. E’ il 21 gennaio 2020, uno stuolo di poliziotti è appostato nei paraggi del quartiere Pilastro di Bologna su indicazione della Direzione distrettuale antimafia. Da più di un anno, cioè da quando nell’agosto 2019 un ragazzo è stato ammazzato a coltellate, indagano sull’attività di spaccio nell’area nota per i suoi palazzoni di edilizia popolare. Gli agenti della Squadra mobile osservano giorno e notte cosa accade nel quartiere, raccolgono testimonianze in via confidenziale, effettuano intercettazioni telefoniche e ambientali, perquisizioni, usano videocamere di sorveglianza per monitorare gli spostamenti dei pusher. Ipotizzano l’esistenza di un’organizzazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti (in prevalenza cocaina e hashish). Tengono tutto sotto controllo, pronti a intervenire. Il 21 gennaio avviene l’imprevedibile. Entra in scena il leader della Lega, Matteo Salvini, quasi nelle vesti di Christian De Sica. Siamo in piena campagna elettorale per le regionali in Emilia-Romagna e Salvini giunge sul posto per raccattare i voti di chi da tempo denuncia il degrado del quartiere.

 

“Organizzammo questa visita al Pilastro, dove in teoria avrebbero dovuto esserci, come c’erano tutti i giorni, gli spacciatori in giro per il quartiere”, racconta al Foglio un militante della Lega, tra gli organizzatori della visita di Salvini al Pilastro. “Quando Matteo arrivò al Pilastro gli spacciatori non c’erano. Quel giorno le forze dell’ordine erano presenti in modo massiccio. Già quattro ore prima che Matteo arrivasse c’erano camionette dei carabinieri. Evidentemente appena gli spacciatori hanno visto che qualcosa non quadrava si sono fatti da parte”.

 

Una signora di mezza età, contattata dagli organizzatori leghisti attraverso un sottufficiale dei carabinieri (poi sanzionato per questo con cinque giorni di consegna), decide allora di prendere in mano la situazione. “Quando Matteo scese dalla macchina disse: ‘Ma dove sono gli spacciatori? Io non vedo nessuno’. La signora le rispose che in realtà solitamente la zona era piena di spacciatori e che ne aveva persino uno nel suo palazzo. Matteo allora le chiese dove abitasse. Lei indicò il suo palazzo e Salvini disse: ‘Allora andiamogli a suonare’. Fu una cosa improvvisata”, ricorda sempre il militante leghista. Il resto è storia. L’ex ministro dell’Interno, sotto i riflettori delle telecamere e circondato da diversi agenti delle forze dell’ordine, citofona all’abitazione di una famiglia tunisina. “Scusi, lei spaccia?”, chiede a chi risponde, un minorenne.

 

Si possono solo immaginare le facce degli agenti di polizia che da mesi stavano svolgendo le indagini. Soprattutto perché, come sottolineato dal giudice delle indagini preliminari di Bologna nell’ordinanza di custodia cautelare della maxi operazione antidroga svolta giovedì scorso, da quel momento in poi, dopo il siparietto forcaiolo di Salvini, gli spacciatori cambiano le loro abitudini criminali: “A seguito del clamore mediatico che investiva il quartiere Pilastro provocata dalla visita di Salvini e la conseguente rinforzata presenza di forze dell’ordine in quartiere, gli indagati iniziavano a prestare ancora maggiore prudenza nello svolgimento dell’attività di spaccio”, tanto che uno degli indagati, considerato dalla procura uno dei capi dell’associazione a delinquere, “decideva di spostare il luogo di occultamento dello stupefacente” (cocaina) in altre località, così rendendo più difficili le attività di indagine degli inquirenti. Insomma, il cinepanettone si trasforma in dramma.

 

Sì, perché se è vero che nell’inchiesta della Dda di Bologna risulta coinvolta anche la famiglia oggetto della citofonata di Salvini – elemento che comunque non giustifica in alcun modo la gogna  messa in piedi dal senatore a favore di telecamere – è altrettanto vero che lo show messo in piedi dal leader della Lega finì di fatto per complicare le indagini degli inquirenti. E pensare che, dopo la retata di giovedì, Salvini si era pure vantato delle sue gesta sui social: “Il tempo è galantuomo”. Ieri è pure tornato sulla vicenda, commentando la notizia della revoca della casa popolare alla famiglia coinvolta nell’indagine: “Altro che citofonata, questi sono stati arrestati (padre in carcere, madre indagata, un figlio ai domiciliari e l’altro in fuga) perché spacciavano, e adesso vogliono pure la casa del Comune, difesi dalla sinistra. Solo in Italia…”. Non una parola su quanto scritto dal gip nell’ordinanza di custodia cautelare.

 

Ora resta da assistere soltanto alla scena finale del cinepanettone. Anche qui, basterebbe una semplice citofonata: “Scusi Salvini, lei ostacola la giustizia?”.

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