“Scusi, lei spaccia?”, così Salvini con la sua citofonata complicò le indagini contro lo spaccio
Per il gip di Bologna che ha firmato l'ordinanza di custodia cautelare alla base della maxi operazione antidroga eseguita giovedì al Pilastro, il clamore mediatico causato dal siparietto di Salvini spinse i pusher a spostare la droga in altri posti, rendendo più difficili le indagini
Da mesi la Squadra mobile e la Direzione distrettuale antimafia tenevano d’occhio, giorno e notte, l’attività di spaccio nel quartiere Pilastro di Bologna, pronte a intervenire con gli arresti. Poi d’improvviso, il 21 gennaio 2020, arrivò lui, Matteo Salvini, leader di partito alla disperata ricerca di voti per le regionali in Emilia-Romagna. Andò a citofonare a casa di uno dei presunti pusher, a favore di telecamere e giornalisti: “Scusi, lei spaccia?”. Un evento imprevisto che, come sottolineato ora dal giudice delle indagini preliminari di Bologna, di fatto complicò le indagini contro lo spaccio.
La maxi operazione antidroga alla fine è scattata solo giovedì scorso. Quarantatré indagati, venticinque persone destinatarie di misure cautelari (14 in carcere). Il reato: associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Nell’inchiesta risulta coinvolta anche la famiglia oggetto della citofonata di Salvini. Sono indagati in quattro: il padre è in carcere, la moglie (a piede libero), uno dei figli ha l’obbligo di permanenza in casa mentre un altro figlio è latitante.
Dopo il blitz, il leader della Lega ha immediatamente espresso la sua soddisfazione sui social, ironizzando persino sulla citofonata da lui stesso fatta all’epoca di fronte alle telecamere: “‘Scusi, lei spaccia?’. Oggi maxi operazione antidroga al Pilastro a Bologna. Coinvolta anche la famiglia a cui avevo citofonato nel 2020 (i genitori erano stati arrestati un anno fa). La sinistra aveva difeso la famigliola di origini tunisine, accusando il sottoscritto: attualmente il padre è in carcere, la moglie è indagata, un figlio è ai domiciliari e un altro è irreperibile ma destinatario di un’altra misura cautelare. Il tempo è galantuomo”.
Leggendo l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Bologna, tuttavia, si scopre un dettaglio di non poco conto: con la sua iniziativa forcaiola, finalizzata a mettere alla gogna un presunto spacciatore ancora minorenne (Facebook decise persino di rimuovere il video della citofonata pubblicato sui social dalla Lega, ritenendolo incitamento all’odio), Salvini complicò le indagini che la Squadra mobile e la Direzione distrettuale antimafia stavano conducendo da tempo proprio sulla rete di spaccio nel quartiere Pilastro. Nel periodo in cui avvenne la citofonata, gli inquirenti stavano infatti già concentrando le loro attenzioni sulle attività di spaccio al Pilastro, con un’intensa attività di intercettazione e di sorveglianza giorno e notte dell’area. Poi improvvisamente arrivò il leader della Lega con telecamere, fotografi e giornalisti al seguito.
“Nel corso delle indagini – scrive il gip nell’ordinanza di custodia cautelare – si è inserita anche la nota vicenda della ‘passeggiata al Pilastro’ del senatore Matto Salvini, che in data 21 gennaio 2020 citofonava al campanello della famiglia” accusata di far parte della rete di spaccio nella zona, “sulla scorta di una delle rare segnalazioni pervenute da una cittadina”. Ebbene, si legge sempre nel provvedimento del giudice, “a seguito del clamore mediatico che investiva il quartiere Pilastro provocata dalla visita di Salvini e la conseguente rinforzata presenza di forze dell’ordine in quartiere, gli indagati iniziavano a prestare ancora maggiore prudenza nello svolgimento dell’attività di spaccio”, tanto che uno degli indagati, considerato dalla procura uno dei capi dell’associazione a delinquere, “decideva di spostare il luogo di occultamento dello stupefacente” (cocaina) in altre località, così rendendo più difficili le attività di indagine degli inquirenti.
Insomma, il siparietto da sceriffo messo in piedi da Salvini per raccattare qualche voto in più in nome della sicurezza e della lotta alla criminalità ha finito per costituire quasi un intralcio alla giustizia.
Lo ha ben compreso il sindaco di Bologna, Matteo Lepore, che dopo la retata al Pilastro è tornato con queste parole sulle gesta di Salvini: “Talvolta chi ricopre incarichi importanti nelle istituzioni viene a conoscenza di indagini da parte delle forze di polizia nel corso del proprio lavoro. Sarà capitato sicuramente più volte anche a Matteo Salvini quando era ministro degli Interni. In questi casi è fondamentale mantenere la riservatezza, perché l’esposizione mediatica può causare ritardi nelle indagini o compromettere l’operato degli inquirenti”. “Ecco perché la citofonata di Salvini al Pilastro è stata una cosa assai grave e stupida – ha scritto Lepore – Una condotta motivata per cercare il solo profitto personale, per altro malamente, come sappiamo dai risultati elettorali”. “Non ho sufficienti elementi per dire se Salvini allora commise un reato, ma certamente ha messo a rischio e forse ritardato il lavoro di chi da tempo probabilmente stava conducendo indagini di estremo rilievo”, ha concluso il sindaco bolognese.