L'ultimo paradosso di Salvini sul referendum giustizia

Ermes Antonucci

Il leader leghista agita la forca sulla vicenda dei due cuginetti uccisi nel 2019 a Vittoria e, senza accorgersene, sconfessa uno dei quesiti referendari sulla giustizia proposti dalla Lega che saranno votati domenica prossima

E’ l’ennesimo paradosso, stavolta gigantesco, del leghista improvvisamente scopertosi garantista per ragioni di mera propaganda. A offrirlo è il solito Matteo Salvini, leader di un partito che è passato dallo sventolare il cappio in Parlamento e dall’alimentare la gogna quotidiana contro gli indagati (ancor meglio se extracomunitari) a promuovere un referendum “per una giustizia più giusta”. Il leader della Lega si è indignato per la scarcerazione di Rosario Greco, colui che l’11 luglio 2019 a Vittoria, provincia di Ragusa, travolse con il suo suv i due cuginetti Alessio e Simone D’Antonio, di 11 e 12 anni. Il primo morì sul colpo, il secondo spirò tre giorni dopo in ospedale, dove gli furono amputate le gambe, tranciate dall’auto, nel tentativo disperato di salvargli la vita. Subito dopo l’incidente, l’uomo – sotto effetto di alcool e droga – si allontanò a piedi con gli altri tre occupanti dell’auto, forse per paura di essere linciato. Venne arrestato poco dopo.

 

Nel maggio 2020 Greco è stato condannato a nove anni di reclusione in rito abbreviato con l’accusa di duplice omicidio stradale aggravato, condanna poi confermata in appello (il pm aveva chiesto dieci anni). Lo scorso marzo, però, la corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d’appello per un “vizio di motivazione”. In attesa della nuova sentenza – è questa la notizia – l’uomo è stato scarcerato dopo tre anni e posto ai domiciliari. “Una vergogna, una schifezza. Giustizia per Alessio e Simone, la vita di due bimbi vale. Mi auguro vivamente che il presidente Mattarella intervenga!”, ha scritto sui social con indignazione Salvini, invocando persino l’intervento del capo dello stato, senza neanche accorgersi di sconfessare in questo modo uno dei quesiti referendari sulla giustizia proposti dalla Lega con il Partito radicale che saranno votati domenica prossima.

 

Rosario Greco è infatti stato scarcerato dopo ben tre anni di custodia cautelare in carcere, un record per il reato di cui è accusato, quello di omicidio stradale: basti pensare che il figlio del regista Paolo Genovese, che investì e uccise due ragazze a Roma, non ha mai trascorso un giorno in carcere. In attesa della nuova sentenza di appello (e di quella definitiva), i giudici hanno ritenuto che fossero venute meno le esigenze cautelari che imponevano l’extrema ratio dell’arresto preventivo in carcere di Greco, in particolare il pericolo di reiterazione del reato. Si tratta esattamente dell’oggetto del secondo quesito del referendum sulla giustizia promosso dai leghisti: la limitazione delle misure cautelari, in particolare, proprio della possibilità per i giudici di privare della libertà i cittadini sulla base del rischio di “reiterazione del medesimo reato”, per i casi che non riguardano la criminalità organizzata o reati commessi con uso di armi o altri mezzi di violenza personale.

 

Insomma, senza neanche rendersene conto, pur di raccattare qualche reazione indignata sui social network Salvini ha fatto campagna elettorale contro uno dei quesiti proposti dal suo partito nel referendum sulla giustizia. La cosa, ovviamente, non sorprende. Solo un ingenuo poteva – e può – credere a una conversione garantista di Salvini, un personaggio che nel 2019, da ministro dell’Interno, interveniva sulla vicenda di Vittoria con queste parole: “Galera per anni, buttando via le chiavi, per questo bastardo. Una preghiera per i due bimbi”.

 

Del resto, siamo solo di fronte all’ultimo paradosso del segretario leghista attorno ai referendum sulla giustizia. E’ sufficiente ricordare l’approccio schizofrenico mostrato da Salvini sull’appuntamento referendario nel corso dell’ultimo anno: prima la promozione in pompa magna della raccolta firme, con la mobilitazione del partito in giro per l’Italia (cercando di cavalcare l’onda anti-correnti togate), poi il silenzio assoluto sul tema dopo la presentazione ufficiale dei quesiti referendari, fino ad arrivare al timido risveglio delle ultime settimane, con tanto di denuncia della “lobby del silenzio” che starebbe ostacolando la sensibilizzazione dei cittadini sul referendum (lobby di cui, a rigor di logica, la stessa Lega avrebbe fatto parte per mesi).

 

La verità, ormai chiara a tutti, è che a Salvini dei referendum sulla giustizia non importa proprio nulla. Non solo: come dimostra il caso di Vittoria, probabilmente il leader della Lega non è neanche al corrente del contenuto dei quesiti referendari. Siamo sempre lì, alla politica fast food. Il referendum va bene quando serve a fare propaganda. Poi, una volta consumato, giù nel cestino dei rifiuti.