giustizia
La riforma Cartabia approvata dal Parlamento ha una pecca: il Csm
Il provvedimento riforma in maniera significativa alcuni aspetti dell’ordinamento giudiziario, ma sconta il prezzo del compromesso soprattutto attorno alle norme che riguardano il Csm (e il potere delle correnti)
Dopo le tensioni degli ultimi giorni, dovute soprattutto ai capricci di Matteo Salvini (ancora scottato dal flop dei referendum e delle amministrative), ieri il Senato ha dato il via libera definitivo alla riforma Cartabia dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura, confermando il testo già approvato dalla Camera. I sì sono stati 173, i no 37, gli astenuti 16. A votare a favore del provvedimento tutte le forze di maggioranza, inclusa la Lega, che sia in commissione Giustizia che in aula prima della votazione finale aveva tentato di modificare il testo e di far saltare tutto il lavoro di mediazione compiuto dal governo. Al momento del voto, cinque senatori leghisti hanno comunque deciso di astenersi. Tra questi Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato, e Andrea Ostellari, presidente della commissione Giustizia e relatore in aula del provvedimento (notare il paradosso). Come previsto, si è astenuta anche Italia viva, che però ha almeno avuto il senso di responsabilità di ritirare i propri emendamenti, così da non costringere (in caso di approvazione delle proposte di modifica) una nuova lettura alla Camera e rischiare l’apertura di una crisi di governo.
Alla fine, il risultato è stato l’approvazione di un buon provvedimento, dagli effetti in chiaroscuro: un testo che riforma in maniera significativa alcuni aspetti dell’ordinamento giudiziario, ma che sconta il prezzo del compromesso tra forze di maggioranza estremamente eterogenee soprattutto attorno alle norme che riguardano il Csm.
Partiamo dagli aspetti positivi. Stop alle porte girevoli tra politica e magistratura: i magistrati con incarichi elettivi e governativi (sia a livello nazionale che locale) non potranno esercitare in contemporanea funzioni giurisdizionali (come avvenuto, per esempio, nel caso di Catella Maresca). Per loro, al momento dell’assunzione degli incarichi, scatterà l’obbligo di collocamento in aspettativa. Al termine del mandato elettivo i magistrati non potranno più tornare a svolgere alcuna funzione giurisdizionale (più morbide, invece, le previsioni per coloro che hanno svolto incarichi apicali, come capi di gabinetto e capi dipartimento dei ministeri).
Il passaggio del magistrato da funzioni requirenti a quelle giudicanti (e viceversa) sarà possibile solo una volta entro i dieci anni dalla prima assegnazione, e non più per un massimo di quattro volte, come previsto dalla normativa attuale. Le valutazioni di professionalità dei magistrati nei consigli giudiziari saranno aperte anche agli avvocati, esclusivamente a seguito di un deliberato del consiglio dell’ordine degli avvocati. E ancora: istituzione di un fascicolo delle performance del magistrato, che tenga conto anche dei risultati ottenuti nei vari gradi di giudizio; giro di vite sul collocamento fuori ruolo dei magistrati, che potrà avvenire soltanto dopo 10 anni di esercizio delle funzioni e al massimo per 7 anni (sarà anche ridotto il numero massimo delle toghe collocabili fuori ruolo); definizione di criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi più attenti ai principi di trasparenza e di valorizzazione del merito.
Insomma, dichiara al Foglio il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto, “parlare di modifiche di poco conto è insostenibile. La separazione delle funzioni, lo stop alle porte girevoli, la riduzione dei fuori ruolo per numeri e durata, il voto dell’avvocatura nei consigli giudiziari sono sempre state battaglie storiche di Forza Italia”. “Certamente si poteva fare di più – aggiunge Sisto – ma le mediazioni non possono essere nette. Per come era nato, il provvedimento finale costituisce un buon risultato, anche nella prospettiva di miglioramenti futuri. Un passo fondamentale verso la riconciliazione fra cittadino e giustizia”.
C’è poi il lato meno positivo della riforma, quello riguardante il Csm, i cui poteri rimangono invariati, così come il peso delle correnti nell’elezione dei membri togati (la nuova legge elettorale, basata su un sistema maggioritario binominale con correttivo proporzionale, servirà a ben poco). E’ soprattutto su questo che prevale la sensazione di una grande occasione mancata.