Tre motivi per accelerare sulla riforma della giustizia tributaria
All'ulteriore pezzetto che serve a riformare il nostro sistema giudiziario sono state rivolte molte obiezioni. Ma mantenere lo status quo non è un'opzione valida per il nostro paese
Dopo che il Senato ha approvato in via definitiva la riforma della giustizia predisposta da Marta Cartabia, è il turno della giustizia tributaria. E’ un’occasione da non perdere, per tre ragioni. Primo: la cornice giuridico-istituzionale è importantissima per le sorti dell’economia italiana, lo è in particolare per gli investimenti. Secondo l’Associazione delle imprese nordamericane nel nostro paese, gli investitori esteri sono scoraggiati dalla lunghezza dei processi e dall’incertezza del diritto, giacché vi sono decisioni giudiziarie (finanche della Corte di Cassazione…) assai difformi. Secondo: alcuni obiettivi riguardanti la giustizia tributaria sono inscritti nel Pnrr e vanno conseguiti entro la fine di questo anno. Pertanto, ritardare o – peggio ancora – mancare quegli obiettivi ci impedirebbe di ottenere le risorse finanziarie stanziate dall’Ue. Terzo: dopo la sospensione dovuta alla pandemia, l’Agenzia delle entrate ha ripreso ad agire a pieno regime; è inevitabile che il contenzioso aumenti, per cui bisogna migliorarne la gestione.
Poiché la riforma della giustizia tributaria è necessaria e urgente, va riconosciuto al governo il merito di aver confezionato, sia pure con qualche mese di ritardo, il disegno di legge di riforma, ora all’esame del Senato. Inoltre, il testo governativo tiene conto delle proposte di legge presentate dalle forze politiche, che chiedevano di trasformare l’attuale magistratura onoraria – in cui giudici e professionisti continuano a svolgere le loro attività principali, senza dedicarsi a tempo pieno alle liti fiscali – in una giurisdizione a sé stante. Viene proposta, infatti, la creazione di un giudice tributario speciale. Infine, sono state raccolte le richieste di perfezionare alcuni istituti del processo tributario.
Al disegno di legge sono state mosse svariate critiche, ma poche tengono conto dell’interesse alla buona amministrazione della giustizia. Non lo sono le obiezioni di quanti vorrebbero mantenere lo status quo, che non è un’opzione valida per il nostro paese. Non lo sono nemmeno le obiezioni dei pochi che vorrebbero far confluire la giustizia tributaria dentro quella ordinaria, che è già lentissima. Meritano, invece, un’attenta considerazione due critiche di tipo costruttivo. Da un lato, si è osservato che nel disegno di legge non vi sono adeguati incentivi per indurre i magistrati più esperti delle dispute tributarie a optare per la nuova magistratura speciale e sono limitati gli spazi per i bravi professionisti interessati a farne parte. Dall’altro, si è constatata l’assenza di una norma transitoria sull’età pensionabile dei magistrati (che il governo propone di portare da 75 anni a 70), che eviti il rischio che le commissioni tributarie perdano molti degli attuali presidenti.
In questo contesto, il ruolo del Parlamento è quanto mai cruciale. Lo è, prima di tutto, per discutere il disegno di legge, con il concorso di tutti. Lo è, inoltre, per definire alcuni emendamenti. Lo è, infine, per valutare una questione di fondo: una riforma di portata storica non dovrebbe essere accompagnata anche da una definizione legislativa dei più di cinquantamila ricorsi giacenti presso la Cassazione, soprattutto delle liti di minore importo economico? Altrimenti, anche migliorando il funzionamento delle commissioni tributarie, il fardello del passato continuerà a gravare sul presente; non consentirà di invertire la tendenza, frustrando le aspettative dei cittadini e delle imprese.