Strage di Viareggio, verso l'ultimo atto. Moretti messo alla gogna, ma senza prove

Ermes Antonucci

Oggi si terrà l’ultima udienza del processo d’appello bis sulla strage ferroviaria del 2009, che costò la vita a 32 persone. Occhi puntati sull'ex ad di Ferrovie, già condannato a sette anni, sulla base di un paradossale principio di responsabilità oggettiva

Oggi si terrà quella che, salvo sorprese, dovrebbe essere l’ultima udienza del processo d’appello bis in corso a Firenze sulla strage ferroviaria di Viareggio, avvenuta il 29 giugno 2009. Se non ci saranno le repliche della procura e delle parti civili, i giudici si ritireranno in camera di consiglio per emettere la sentenza nei confronti dei 16 imputati: ex vertici e dirigenti di Rete ferroviaria italiana (Rfi), Ferrovie dello stato (Fs), Trenitalia e manager di aziende tedesche e austriache, tutti accusati del reato di disastro ferroviario per il deragliamento e l’esplosione del treno che trasportava gpl, incidente che causò la morte di 32 persone.

 

Nel gennaio dello scorso anno, la corte di Cassazione ha disposto un nuovo processo di appello, non riconoscendo l’aggravante della violazione delle norme di prevenzione sui luoghi di lavoro, cosa che ha fatto scattare la prescrizione per le accuse di omicidio colposo. Gli occhi sono puntati soprattutto su Mauro Moretti, ex amministratore delegato di Rfi (dal 2001 al 2006) e poi di Fs (dal 2006 al 2014), condannato in appello nel 2019 a sette anni di reclusione sulla base di una sorta di paradossale principio di responsabilità oggettiva, secondo cui anche ai vertici delle società devono essere addebitate tutte le colpe di tragici incidenti (con Moretti sono stati condannati anche Michele Mario Elia, ex ad di Rfi, e Vincenzo Soprano, ex ad di Trenitalia, entrambi a sei anni).

 

Dodici anni di processo hanno stabilito definitivamente la colpevolezza dei responsabili dell’impresa tedesca proprietaria del carro cisterna (poi noleggiato da una azienda del gruppo Fs), degli operai che hanno tragicamente sbagliato la manutenzione e dei dirigenti delle officine che hanno revisionato e montato un assile difettoso sotto al carro, senza accorgersi che era compromesso.
Eppure tutto ciò sembra non bastare ai familiari delle vittime (il cui dolore, certo, resta sacrosanto) e più in generale a un’opinione pubblica abituata a mettere alla gogna i rappresentanti dei cosiddetti “poteri forti”. Serve un colpevole ben più importante di un operaio o di un dirigente di officina. Serve la condanna del capo, Mauro Moretti, anche se non si sa bene in virtù di quale ragione giuridica

 

L’accusa mossa dai pm contro Moretti è quella di aver instaurato all’interno del gruppo una politica aziendale finalizzata al risparmio, a concentrare gli investimenti sul trasporto passeggeri anziché sul trasporto merci. Una prassi ritenuta colposamente “riduttiva dell’impegno cautelare” a tutela della sicurezza, e che avrebbe portato all’omissione dei controlli sul treno in seguito deragliato. Eppure, sfogliando le carte, si scopre che non c’è nessun atto, nessuna comunicazione, nessuna e-mail, non solo di Moretti ma di tutti gli amministratori di Rfi in cui questa “politica del risparmio” venga esplicitata o quantomeno abbozzata. E’ una politica aziendale tutta presunta dai pm, anzi pure contraddetta da alcuni dati, come il fatto che Trenitalia disponesse all’epoca della flotta di carri merci più grande di qualsiasi impresa ferroviaria.  

 

Non solo (e qui arriva il bello). Come evidenziato durante il processo dall’avvocato Ambra Giovene, difensore di Moretti, fu proprio quest’ultimo nel 2006, in qualità di ad di Rfi, ad adottare una prescrizione (la n. 283) che imponeva a tutte le imprese ferroviarie operanti sull’infrastruttura italiana di tracciare il materiale rotabile. In altre parole, ciò che i magistrati addebitano a Moretti è esattamente il contrario di quello che l’allora ad di Rfi fece.

 

“Nel processo penale bisogna individuare colpe specifiche, mentre nei confronti dell’ingegnere Moretti siamo di fronte a un addebito di una colpevolezza generica – ha detto in aula l’avvocato Giovene, chiedendo l’assoluzione di Moretti – Mi ripugna che si chieda una condanna di Moretti quando egli ha fatto esattamente il contrario di quello che gli viene contestato. E’ paradossale ritenere che Moretti abbia posto in essere una prassi aziendale contro ciò che lui stesso aveva prescritto in materia di sicurezza. Questa è la prova che non è colpevole”. Vedremo se tutto ciò sarà sufficiente a evitare un’assurda condanna per responsabilità oggettiva.