Caso Amara, Davigo nei guai. Ermini: “Da lui velina irricevibile e piena di calunnie”
Il vicepresidente del Csm ascoltato nel procedimento che vede Davigo imputato per rivelazione di segreto d’ufficio per i verbali di Amara: “Accusò il consigliere Sebastiano Ardita di essere un massone”
"I massoni vanno in sonno ma rimangono sempre massoni”. E’ con queste parole, rivelatrici dello spirito forcaiolo che lo ha sempre contraddistinto, che nel maggio 2020 Piercamillo Davigo accusò il consigliere del Csm, Sebastiano Ardita, di far parte della fantomatica “loggia Ungheria”, parlando con il vicepresidente David Ermini sulla base dei verbali segreti di Piero Amara. A rivelarlo è stato giovedì lo stesso Ermini, nel corso della sua testimonianza a Brescia nel processo che vede Davigo imputato per rivelazione di segreto d’ufficio proprio in relazione ai verbali di Amara.
Di fronte allo stesso Davigo, come sempre presente in aula, ma stavolta con l’aria fiacca e i capelli arruffati, il vicepresidente del Csm ha raccontato di aver incontrato l’ex pm di Mani pulite due volte. La prima volta, il 4 maggio 2020, Davigo si presentò da Ermini al Csm, lo invitò a seguirlo in cortile, senza telefonini, e gli rivelò che a Milano erano state rese dichiarazioni su una presunta associazione massonica di cui facevano parte esponenti delle forze armate e delle forze di polizia, magistrati, consiglieri del Csm, ex vicepresidenti del Csm, rappresentanti di Confindustria. “La cosa che mi colpì", ha affermato Ermini, “è che Davigo era molto deciso sul fatto che io dovessi avvisare il presidente della Repubblica, perché in questa presunta loggia erano indicati degli appartenenti alle forze di polizia”. Ermini si recò dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, per una visita già programmata, e gli riferì anche quello che aveva detto Davigo. “Mattarella non fece alcun commento”, ha detto Ermini.
Il secondo incontro avvenne qualche giorno dopo. Davigo si presentò da Ermini senza appuntamento con una cartellina: “Mi disse che aveva fatto stampare queste dichiarazioni – ha dichiarato Ermini – Sostanzialmente mi ripetette tutto quello che aveva già detto nel primo incontro però questa volta sfogliando questa cartellina. Erano tutti fogli non firmati, alcuni con intestazione, altri senza, che contenevano le dichiarazioni che Amara aveva reso a dei pubblici ministeri a Milano. Via via che scorreva vidi alcuni nomi che erano scritti e su qualcuno ebbi anche qualche dubbio”. Nelle carte erano indicati come membri della loggia anche i consiglieri del Csm Sebastiano Ardita e Marco Mancinetti.
“Arrivato al nome di Ardita – ha proseguito David Ermini – io istintivamente dissi che non mi sembrava possibile. Davigo mi rispose con la frase ‘guarda che i massoni vanno in sonno ma rimangono sempre massoni’”. “Una frase pesantissima”, ha notato persino il presidente del collegio giudicante, Roberto Spanò. Rispondendo alle domande del giudice, il vicepresidente del Csm ha poi ripetuto di “non sapere che quei verbali erano secretati” e di averli immediatamente distrutti “perché mi volevo liberare di una cosa piena di calunnie, non firmata e inutilizzabile, che se fosse uscita dalle mie stanze avrebbe fatto un danno incalcolabile al Csm”. Per Ermini si trattava “di una velina non firmata e di dubbia provenienza” che non ha voluto rendere pubblica anche perché non voleva “fare da megafono” all’avvocato Amara. “Davigo non mi chiese di formalizzare, non mi chiese di veicolare quei verbali al comitato di presidenza, sennò gli avrei detto che erano irricevibili”, ha raccontato Ermini. “Mi disse che se ne sarebbe occupato il pg della Cassazione, Giovanni Salvi, e per me la questione era chiusa”.
E’ a questo punto dell’udienza, giunti alla questione della mancata formalizzazione, che Davigo d’improvviso ha cominciato ad agitarsi, a scuotere la testa, a chiamare ripetutamente a sé il suo legale per precisargli le domande da porre a Ermini. Niente da fare. Di colpo si è alzato e, dopo breve discussione con il giudice, ha cominciato a rendere dichiarazioni spontanee. Non formalizzò la procedura, ha spiegato, perché dopo la fuga di notizie avvenuta in occasione della trasmissione degli atti da Perugia al Csm sull’ex consigliere Luca Palamara c’erano dubbi sulla “tenuta della struttura”. In altre parole, visto quanto accaduto nella vicenda Palamara, per Davigo anche in questo caso il segreto sarebbe stato sicuramente violato da qualche consigliere o funzionario. Quando si dice la fiducia nelle istituzioni.
Il paradosso è che, stando alle accuse, a rivelare il contenuto dei verbali segreti alla fine fu proprio Davigo, parlandone con altri cinque consiglieri del Csm, le sue due segretarie e il senatore Nicola Morra, il tutto per giustificare la rottura dei rapporti con Ardita. Proprio quest’ultimo oggi risulta parte civile nel procedimento e le parole chiarissime, riferite da Ermini, pronunciate da Davigo sull’appartenenza di Ardita alla massoneria potrebbero pesare non poco sull’individuazione del possibile movente alla base della rivelazione del segreto d’ufficio dell’ex pm.