editoriali
La loggia Ungheria era una bufala: la procura di Perugia chiede l'archiviazione
La procura guidata da Cantone ha chiesto di archiviare l’indagine nata dalle rivelazioni di Amara: “Esistenza della loggia non adeguatamente riscontrata”
La “loggia Ungheria”, la fantomatica associazione segreta composta da esponenti delle forze armate, importanti magistrati, politici e imprenditori, finalizzata a condizionare istituzioni e organi costituzionali, non è mai esistita. E’ la conclusione – ampiamente prevedibile – raggiunta dalla procura di Perugia, che ha chiesto l’archiviazione del procedimento nato in seguito alle rivelazioni dell’avvocato Piero Amara. Per la procura guidata da Raffaele Cantone, alla quale erano stati trasmessi gli atti da Milano (in particolare quelli raccolti dal pm Paolo Storari), non è risultata “adeguatamente riscontrata” l’esistenza di un’associazione segreta denominata Ungheria: “Sull'esistenza dell’associazione non sono, infatti, emersi elementi neanche indiretti che potessero attestarne l'esistenza al di fuori delle dichiarazioni di Amara e delle dichiarazioni di un altro indagato, socio di Amara, che però si è limitato a dichiarare il dato dell’esistenza dell'associazione senza fornire alcun elemento concreto di cui sua conoscenza diretta”. Insomma, per Cantone e i suoi, la storia della loggia Ungheria è una bufala.
La vicenda è strettamente legata alla guerra intestina esplosa all’interno della procura di Milano. I vertici della procura meneghina, in particolare l’allora capo Francesco Greco, furono infatti accusati dal sostituto Storari di rallentare le indagini nate dalle rivelazioni di Amara. Proprio per le presunte inerzie dei superiori, Storari decise di rivolgersi all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo, consegnandogli i verbali secretati (entrambi sono sotto processo per rivelazione di segreto d’ufficio), i cui contenuti furono poi rivelati da giornali e televisioni.
L’archiviazione dell’inchiesta metterebbe ancora di più nei guai Davigo, che, dopo aver ricevuto i verbali, ne rivelò il contenuto a svariati componenti del Csm, le sue due segretarie e il senatore Nicola Morra, per giustificare la rottura dei rapporti con Ardita, citato nelle carte (a questo punto in modo chiaramente calunnioso) come appartenente alla loggia massonica.