Le nuove misure
Dal Cdm via libera alla riforma penale. Dopo le minacce, anche Lega e M5s votano sì
Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto attuativo della riforma del processo penale. Tante le novità: digitalizzazione, tempi certi per le indagini, maggior accesso ai riti alternativi e alle pene alternative al carcere, giustizia riparativa
Il Consiglio dei ministri giovedì sera ha dato il via libera al decreto attuativo della riforma del processo penale, uno dei pilastri fondamentali nell’ambito del Pnrr. Gli avvertimenti lanciati nelle scorse settimane da Lega e Movimento 5 stelle su alcuni temi chiave, che avevano fatto pensare persino al rischio di un fallimento della riforma, si sono rivelati inconsistenti. Anche leghisti e grillini, infatti, hanno votato a favore del provvedimento.
Tra i partiti resta il fastidio per le modalità con cui la ministra Marta Cartabia è riuscita a portare a termine la missione prima della pausa estiva. La Guardasigilli ha presentato ai responsabili giustizia dei partiti lo schema di decreto legislativo (composto da 99 articoli) e la relazione illustrativa (di circa 500 pagine) il giorno prima del Consiglio dei ministri. Non il massimo della sensibilità politica da parte del governo dei tecnici (i testi sono il frutto dei lavori di ben sei commissioni, composte da magistrati, docenti e avvocati, istituiti dalla ministra), ma questa non è una novità.
A onor del vero, la partita non è ancora formalmente chiusa. Il testo del provvedimento sarà trasmesso alle commissioni competenti per ricevere un parere non vincolante entro sessanta giorni. Lega e M5s, dopo aver minacciato “guerra” in Cdm, vorrebbero proporre modifiche proprio in sede parlamentare, ma il governo Draghi resterà ancora in carica dopo le elezioni del 25 settembre per la gestione degli affari correnti e il Cdm non avrà alcuna difficoltà ad approvare definitivamente il decreto legislativo, anche senza tener conto delle indicazioni delle commissioni. Ecco dunque spiegata la latitanza giovedì sera degli esponenti leghisti e grillini, che si sono accorti forse della difficoltà di intervenire contro una riforma che attua una legge delega da loro stessi approvata lo scorso anno, e di costruirci su questo pure una campagna elettorale.
Nei contenuti, le innovazioni introdotte dalla riforma sono numerose e radicali. Si rafforza la digitalizzazione del processo, prevedendo il deposito di atti, documenti, richieste, memorie esclusivamente in via telematica. Si semplifica il sistema di notificazioni. Si rimodulano i termini di durata massima delle indagini preliminari, a seconda della gravità del reato. Scaduti i termini, si introduce un meccanismo di discovery degli atti (che ovviamente fa salve le esigenze specifiche di tutelare il segreto investigativo), così da non lasciare l’indagato nel limbo troppo a lungo. Rimanendo alla fase delle indagini, si stabilisce che il pubblico ministero possa chiedere il rinvio a giudizio dell’indagato solo quando gli elementi acquisiti consentono una “ragionevole previsione di condanna”.
Si incentiva poi l’accesso ai riti alternativi (come l’applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudizio abbreviato e il giudizio immediato). La stessa logica di riduzione dei tempi del processo investe le misure riguardanti il dibattimento e le impugnazioni (quest’ultime ammissibili solo quando “sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato”).
C’è poi la parte importante, oggetto delle critiche dei leghisti e dei pentastellati, riguardante gli interventi sul sistema sanzionatorio. In particolare, si amplia la possibilità di accedere alle pene alternative al carcere per condanne sotto i quattro anni: la pena pecuniaria sostitutiva potrà essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno; il lavoro di pubblica utilità potrà essere applicato in caso di condanna non superiore a tre anni; la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare potranno essere applicate in caso di condanna non superiore a quattro anni. A concedere la misura alternativa alla detenzione potrà essere direttamente il giudice di cognizione, senza così aspettare il giudizio del tribunale di sorveglianza.
Infine, sono previsti interventi sulla giustizia riparativa, che si affiancherà, senza sostituirla, all’esecuzione penale. Si fonda su programmi che consentiranno alla vittima, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore. L’esito favorevole dei programmi di giustizia riparativa potrà essere valutato dal giudice nel corso del processo e in fase di esecuzione della pena.