La giravolta di Lega e M5s sul nuovo processo penale: il sì in Cdm tra silenzi, imbarazzi e strategie
Dopo aver annunciato battaglia, grillini e leghisti hanno approvato la riforma del processo penale, incluse le tanto criticate norme sulle pene alternative al carcere. I telefoni dei responsabili giustizia dei due partiti ora squillano a vuoto
Avevano annunciato battaglia con fucili e bombe a mano (metaforicamente parlando), e invece si sono ritrovati a portare fiori, a esprimere consenso, per poi sparire, sperando di non farsi vedere da nessuno. Il sì dato da Lega e Movimento 5 stelle alla riforma del processo penale nel Consiglio dei ministri di giovedì sera rappresenta un piccolo mistero politico. Nei giorni precedenti all’approdo in Cdm del decreto attuativo della riforma del processo penale, predisposto dalla ministra Marta Cartabia, grillini e leghisti avevano minacciato la rivolta. Non che avessero i numeri per far saltare il banco (i rappresentanti gialloverdi in Cdm sono in minoranza), ma una sollevazione clamorosa contro il provvedimento, alimentata anche da alcuni organi di stampa, avrebbe potuto costringere la Guardasigilli a fare un passo indietro, considerata anche la necessità del governo Draghi di evitare fratture nella fase di “disbrigo degli affari correnti”.
“Ci sono norme di attuazione come quelle sulla digitalizzazione del processo che vanno fatte di corsa. Se invece ci provano con le pene sostitutive ed altre schifezze che non servono certo a velocizzare i giudizi daremo battaglia”, dichiarava Giulia Sarti, responsabile giustizia dei 5 stelle, al Fatto quotidiano una settimana fa, invitando il governo a non presentare “norme divisive a Camere sciolte”. Le norme che consentono di accedere alle pene sostitutive al carcere per condanne sotto i quattro anni, alla fine, sono state inserite nel decreto legislativo (in attuazione della delega) e sono pure state approvate dal M5s in Cdm. Da giovedì sera, il cellulare di Sarti squilla a vuoto. Dal Movimento non è giunta nessuna presa di posizione, nessun commento, nessuna dichiarazione. L’imbarazzo è totale (persino dalle parti del Fatto, che non ha neanche pubblicato la notizia dell’approvazione del decreto legislativo).
Interpellato dal Foglio, Eugenio Saitta, capogruppo grillino in commissione Giustizia, sembra cadere dalle nuvole: “Magari ci sono delle criticità tecniche che faremo valere nel parere che daremo in commissione”. Ma voi del M5s siete al corrente che i pareri non sono vincolanti? “Sì, ma possiamo comunque sollevare il tema”. La giravolta dei pentastellati sembra poter essere spiegata soltanto con la volontà di non apparire agli occhi dell’opinione pubblica, nel periodo di campagna elettorale, come il partito a cui attribuire la responsabilità della crisi di governo (che Giuseppe Conte ha fin dall’inizio scaricato sullo stesso Draghi e sul centrodestra).
Anche Matteo Salvini e i suoi hanno sempre criticato ogni ipotesi di ampliamento delle possibilità di accedere alle misure alternative al carcere, nel nome della certezza della pena. Eppure, anche i rappresentanti del Carroccio giovedì sera hanno votato sì al decreto Cartabia, che va esattamente nella direzione opposta: in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno il giudice potrà applicare una pena pecuniaria sostitutiva; in caso di condanna non superiore a tre anni potrà essere applicato il lavoro di pubblica utilità; in caso di condanna non superiore a quattro anni potranno essere concesse la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare. Anche in questo caso, dopo il sì in Cdm, dai vertici della Lega bocche cucite. Nessun commento di Salvini, né tantomeno della responsabile giustizia del partito, Giulia Bongiorno, pure lei irraggiungibile. Nessuna reazione neanche sulla parte del decreto riguardante la giustizia riparativa, da sempre oggetto di critiche dai leghisti.
Ma se la giravolta grillina è da legare anche a un Movimento allo sbando, per la Lega il discorso è diverso. Da queste parti già si guarda a una possibile vittoria del centrodestra alle elezioni politiche, e alla possibilità quindi anche di intervenire per eliminare le parti della riforma Cartabia ritenute inaccettabili.
Non sarebbe una novità. Il 17 marzo 2018, subito dopo le elezioni, il governo uscente guidato da Gentiloni varò in Cdm uno schema di decreto legislativo della riforma dell’ordinamento penitenziario che alzava a quattro anni la soglia per la concessione delle pene alternative al carcere, provocando le ire di Salvini: “Vergogna, un governo bocciato dagli italiani approva l’ennesimo salva-ladri! Appena al governo cancelleremo questa follia nel nome della certezza della pena: chi sbaglia paga!”. Detto fatto. Il primo governo Conte, sostenuto dai gialloverdi, riscrisse le norme in senso giustizialista. Esattamente ciò che potrebbe riaccadere in caso di trionfo alle prossime elezioni dell’asse securitario Lega-Fratelli d’Italia.