Diritto penale, ma liberale
Ripartire da un'idea di giustizia che rispetti la libertà della persona. Una riforma urgente
Da John Stuart Mill e Zanardelli al codice Griffith. Cari Libdem che (forse) vi apprestate a governare, ecco una storia istruttiva dall’Australia dell’800 e qualche appunto per leggi che verranno
Il diritto penale liberale (splendido ossimoro) ha un cuore grande che batte in modo molto flebile. Ora, però, è arrivato il tempo dei Libdem italiani e potrebbe rianimarsi. Piccole neoformazioni politiche, infatti, crescono con grandi ambizioni. Si coagulano intorno a idee liberali, democratiche, ma anche un po’ socialdemocratiche, in un movimento centripeto che dovrebbe occupare praterie, quelle lasciate libere dagli smottamenti politici di questi ultimi anni (quantificabili a piacimento). Sono tempi di angosciose attese. Messi tutti in fila i problemi del momento (che in verità si ripropongono da sempre in modo circolare) generano grandi paure sotto l’effetto stordente di questo caldo torrido.
Così, per distrarvi e rasserenarvi, inizierò con il raccontare una storia che parte da lontano, addirittura nella remota Australia, iniziata tanto tempo fa (come tutte le belle storie), ma che è riuscita incredibilmente ad arrivare ai giorni nostri. Una storia che ci porterà a parlare di John Stuart Mill e dell’utopia di un diritto penale liberale, nella convinzione che i Libdem italiani, una volta trovata la loro strada, ovviamente lastricata di buone intenzioni, non si dimenticheranno di proporre un intervento in materia penale, la parte più invasiva e forse più deturpata del nostro ordinamento giuridico. C’era una volta nel Queensland un signore che si chiamava Sir Samuel Walker Griffith. Gallese, emigrato in Australia nella metà dell’800. Fu avvocato, Attorney-general, Premier, Chief Justice (il più alto grado della magistratura) del Queensland e infine Chief Justice dell’intera Australia.
Da giovane fece il suo Grand Tour europeo e studiò la lingua italiana. Gli Stati australiani erano all’epoca colonie britanniche e il loro diritto penale risentiva della classica caotica situazione di un sistema penale di common law prima di una consolidazione (raccolta più o meno organica) degli statutes. L’idea di procedere a una codificazione (non solo in materia penale) venne peraltro a un inglese, il grande Jeremy Bentham (ma questa è un’altra storia) a cavaliere tra il ’700 e l’800. Ma torniamo al Queensland. Nel 1893 sulla spinta dei movimenti di codificazione in materia penale di molti paesi di common law, Griffith, quale più alta carica della magistratura dello Stato, ebbe l’incarico di procedere con i lavori preparatori del primo codice penale.
Vi risparmierò i travagli del suo codice penale per parlare invece delle sue fonti ispiratrici. In particolare, con riferimento ai princìpi e agli istituti fondamentali che governano e disciplinano la responsabilità penale. Griffith, che come detto conosceva la lingua italiana, ricevette in dono da un amico e collega nel 1894 una copia del codice penale Zanardelli del 1889, il primo codice penale dell’Unità d’Italia, da sempre ritenuto un solido esempio (con alcuni caveat) dell’applicazione di princìpi liberali al diritto penale. Un vero codice penale liberale, insomma. Griffith presentò il progetto di codice penale nel 1897 che entrò poi in vigore nel 1901. Ebbe a dire, con espresso riferimento al codice penale Zanardelli: “Ho tratto grandissimo ausilio da questo codice, che è, ritengo, sotto molti profili il più completo e perfetto in esistenza”.
Insomma, alcuni princìpi del diritto penale liberale finirono nel codice penale di uno Stato dell’Eastern Australia. E quasi incredibilmente il codice penale Griffith è ancora in vigore nel Queensland. Ma ancora più incredibilmente i princìpi di tale codice, e quindi anche quelli di diretta derivazione zanardelliana, sono finiti nei codici penali di altri paesi e non solo di altri stati australiani: attualmente in Papua-New Guinea è in vigore un codice penale che è in buona sostanza il codice penale Griffith. In gran parte della Nigeria (tranne quella del Nord) stessa cosa, ma tracce consistenti del codice penale Griffith e quindi del codice penale Zanardelli sono finite nei codici penali del Kenya, del Botswana e di molti altri stati africani anglofoni. Possiamo finire l’elenco con luoghi esotici come le Fiji, le British Solomon Islands e le Seychelles, dove il formante zanardelliano sopravvive attraverso il modello dettato dal codice Griffith. Invero, il codice penale Zanardelli aveva aspetti avanzati quali l’osservanza del principio di legalità, pene più equilibrate, abolizione della pena di morte e dei lavori forzati, interventi di garanzia in tema di tentativo e concorso di persone nel reato, ma anche zone d’ombra poco liberali, specialmente sui reati politici, sulle misure di prevenzione affidate alla Polizia e in generale sulla repressione di determinate categorie di soggetti senza troppe garanzie.
L’evocato cuore del diritto penale liberale, invece, ha sempre battuto possente nel petto del Padre della concezione di quello che sarà conosciuto come harm principle, John Stuart Mill. “…l’unico scopo per cui il potere può essere legittimamente esercitato sopra qualsiasi membro di una comunità civilizzata contro la sua volontà è per prevenire il danno ad altri”. Il principio del danno come fondamento nei paesi di common law, ma soprattutto limite, del diritto penale. L’argomento richiederebbe invero accurati approfondimenti tecnico-scientifici in criminalibus qui non possibili.
Mi piace ancora, cari Libdem, ricordarvi il possente lavoro di Joel Feinberg, professore americano dell’Università dell’Arizona, che ha sviluppato ed elaborato la teoria di Mill sull’harm principle strutturandola in quatto diverse declinazioni e che lo hanno portato a confermare che solo il danno o la molestia ad altri possa giustificare l’intervento penale dello Stato. Insomma, l’archetipo del liberalismo penale (invero di matrice illuministica) e i suoi attuali corollari. In estrema sintesi: il principio di legalità quale limite all’arbitrio (anche giudiziario), la distinzione tra reato e peccato, il danno quale lesione di diritti e concreti interessi dell’individuo, una pena che sia anche preventiva, proporzionata alla gravità del reato, un diritto penale minimo, come vera extrema ratio, che intervenga solo se strettamente necessario. Si parla spesso di diritto penale liberale. Si scrivono Manifesti (l’ultimo dell’Unione delle Camere Penali) che parlano di liberalismo penale, mescolandolo invero con il garantismo giuridico, concetti che sono, in verità, non esattamente sovrapponibili. Il liberalismo penale è per me una tensione, uno splendido scopo, un atto di amore per l’individuo e la sua libertà. Quasi un’utopia.
La pena come limitazione della libertà non dovrebbe essere l’unica sanzione di un diritto penale liberale. Tutto ciò sembra quasi inconciliabile. Eppure qui siamo al centro della nostra concezione del mondo tra individualità e interesse sociale. Tra funzione repressiva solo di comportamenti dannosi e un diritto penale promozionale, a volte paternalistico, a volte mera esibizione muscolare. Questi ultimi anni abbiamo assistito, pietrificati e spesso rassegnati, a fenomeni di panpenalizzazione; ad inutili inasprimenti sanzionatori, demagogicamente orientati ad una parte dell’elettorato, che collidono con qualsivoglia concetto di rispetto dell’individuo e della proporzione della reazione statale, sia pure a fronte a comportamenti illeciti. L’elenco sarebbe troppo lungo. Spacciati come protezione della società e assolutamente necessari per il ripristino della legalità, sono stati fatti interventi di settore ai limiti dell’assurdità giuridica.
Il diritto penale liberale minimo, che abbia al centro l’individuo, si è scontrato e si scontrerà sempre di più con una politica criminale livorosa, rabbiosa, incolta, costituendo infatti una declinazione della politica livorosa, rabbiosa e incolta alla quale ci stiamo abituando. Cari Libdem, torniamo a voi. Tra le mille preoccupazioni e le mille proposte di cui riempirete il vostro programma elettorale, avete pensato che abbiamo un codice penale coniato in epoca fascista che, nella parte speciale dove abbiamo l’elenco dei reati, mette al primo piano della tutela la Personalità dello Stato e solo alla fine l’integrità e i diritti della persona quale individuo? Che abbiamo una quantità esorbitante di leggi penali speciali? Che negli ultimi anni le pene per alcuni reati sono state aumentate senza alcun criterio in maniera simbolica e liberticida, nel senso pieno della parola? Che dobbiamo ripensare struttura e finalità dei reati, occupandosi al contempo, ovviamente delle garanzie processuali (ma non solo di queste)? Che la situazione carceraria deve portarci, tra le altre cose, a uscire al più presto dalla panpenalizzazione? Che se professate di essere liberali dovete rimettere l’individuo e le sue libertà al centro di tutto, anche nel diritto penale? Sono certo che ci avete pensato e, se raggiungerete Palazzo Chigi, potrete creare un codice penale degno e anzi migliore del codice penale Zanardelli, che ispirò la codificazione del Queensland. Il diritto penale liberale di nuovo conio potrà magari essere nuova fonte di ispirazione in chissà quali e quanti paesi del mondo. Noi confidenti aspettiamo che un novello Griffith vi prenda come imperitura guida.
Stefano Putinati è professore associato di Diritto penale all’Università di Parma