"Minority report", via Olycom 

Minority Report e la sicurezza che non finisce bene

Maurizio Crippa

Dai film di fantascienza di Steven Spielberg qualche insegnamento per il presente sui reati, i criminali e le intenzioni

Nella società super controllata del futuro la Polizia Precrimine aveva eliminato gli omicidi e tutti i crimini più gravi. Veggenti dai poteri paranormali erano utilizzati (come menti schiave) per “vedere” i delitti quando ancora vagavano nella mente di persone che di lì a poco (forse, o certamente? Chissà) li avrebbero commessi. Non ancora diventati criminali reali, gli individui diventavano per la Precrimine colpevoli veri. Destinati alla galere in carne e ossa. La fantascienza inquietante di Spielberg ha vent’anni, ma rabdomantico scopritore delle paure sociali qual è, già intuiva il montare dell’ansia securitaria, la pretesa senza contraddittorio di un controllo sociale e poliziesco sui crimini addirittura non ancora avvenuti.

 

Non per prevenire, che è meglio di ingabbiare; ma per eliminarne la possibilità, attraverso l’eliminazione del criminale possibile. Si può cercare di evitare che un fatto avvenga, ma arrestare il pensiero che forse diventerà reato, ma magari no, include una dose, e un atto, di violenza che Spielberg già intuiva nei suoi aspetti distorsivi e negativi. Dopo l’assassinio di Bologna, che a detta dei magistrati e persino dell’avvocato della vittima non poteva essere preconizzato – o almeno ancora non esistono norme e pratiche di carcerazione predittiva – c’è chi chiede perché non si sia agito prima. Prima di cosa? In Minority Report si racconta di un mondo in apparenza levigato e perfetto in cui non viene punito il fatto (che non avviene), ma la persona nella sua intenzione di compierlo, o magari no.

 

Sembra funzionare, ma nemmeno nel film è così sicuro. Soprattutto si eliminano la libertà e il libero arbitrio. Steven Spielberg è un umanista democratico e ottimista, il suo film finisce con lo smantellamento della onnipotente, ma manipolabile, Polizia Precrimine. Philip K. Dick scriveva immerso nella Guerra fredda e nel suo racconto, che cinquant’anni dopo ha ispirato il film, non erano i buoni a vincere. Era un tantino paranoico, Philip K. Dick, questo si sa. Ma forse vedeva nel futuro come i suoi “precog”, i preveggenti. Un futuro così perfetto in cui ti potranno arrestare per i pensieri. Pensieri cattivi, certo. Ma chi non ne ha mai avuti, di cattivi pensieri?

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"