Trent'anni fa il suicidio di Sergio Moroni, vittima della gogna di Mani pulite
Il 2 settembre 1992 il deputato socialista si tolse la vita dopo aver ricevuto due avvisi di garanzia. Stefania Craxi al Foglio: “Ricordo ancora le lacrime di mio padre”
"Ricordo giorni di grande angoscia. Ricordo le lacrime di mio padre, non solo quel giorno ma anche tutte le volte che, negli anni successivi, si ebbe modo di parlare del compagno Moroni. Fu un fatto che lo scosse moltissimo dal punto di vista personale per lungo tempo. Vede, mio padre era una persona che si commuoveva". E’ con queste parole, rotte dalla medesima commozione, che la senatrice di Forza Italia Stefania Craxi, presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama, ricorda al Foglio la morte del deputato socialista Sergio Moroni, di cui oggi ricorre il trentennale. Il 2 settembre 1992, il parlamentare bresciano, membro della direzione nazionale del Psi, si tolse la vita con un colpo di fucile nella cantina del condominio in cui abitava, dopo aver ricevuto due avvisi di garanzia nell’ambito dell’inchiesta di Mani pulite. Il giorno seguente al tragico gesto, Bettino Craxi si recò a Brescia per dare l’ultimo saluto al suo compagno di partito. Uscendo dall’abitazione di Moroni, il segretario socialista apparve sconvolto e, trattenendo a stento le lacrime, davanti ai microfoni rilasciò una sola dichiarazione: “Hanno creato un clima infame”.
“Avevano creato un clima infame – ribadisce oggi Stefania Craxi, candidata al Senato per Forza Italia nell’uninominale di Gela – un clima da pogrom. Migliaia di persone persero l’onore, il lavoro, qualcuno la famiglia e qualcuno anche la vita, perché non fu soltanto Moroni, ma furono in tanti a suicidarsi in quel periodo”. Prima di uccidersi, Moroni inviò a Giorgio Napolitano, allora presidente della Camera, una lettera nella quale denunciava “un clima da pogrom nei confronti della classe politica”, caratterizzato da “un processo sommario e violento”. “Ricordo il silenzio di fronte a quella lettera – dice Stefania Craxi – e ricordo le parole terribili di quel magistrato che disse: ‘C’è ancora qualcuno che per la vergogna si suicida’”. Si trattava di Gerardo D’Ambrosio, all’epoca membro di punta del pool milanese di magistrati che indagavano sull’illecito finanziamento ai partiti e sulle tangenti.
“Fu una pagina oscura della storia repubblicana su cui ancora il paese deve fare i conti – prosegue Craxi – Nella lettera Moroni fu profetico e la storia di questi trent’anni lo ha dimostrato. Un’intera classe dirigente è stata spazzata via, un intero sistema politico è stato distrutto, ma da allora ancora non ne è stato ricostruito uno in grado di stare in piedi. Purtroppo quel moralismo militante, o se preferisce giustizialismo, inoculato all’epoca nel sistema politico fa danni ancora oggi”.
Nella lettera destinata a Napolitano, Moroni fece riferimento anche a “forze oscure che coltivano disegni che nulla hanno a che fare con il rinnovamento e la pulizia”. “Negli anni qualche riga di verità è uscita”, spiega Stefania Craxi. “Quella vicenda costituì il risultato di un grande scontro a livello internazionale. La globalizzazione provoca uno scontro tra la finanza, che diventa il potere preminente, e il primato della politica. D’altronde oggi qual è il potere che conta, la finanza o la politica? Le faccio un’altra domanda: quei giornali che accompagnarono l’azione giudiziaria, creando quella falsa rivoluzione mediatico-giudiziaria, a chi appartenevano? A editori o a poteri finanziari? Anche su questo qualcosa è stato scritto, penso all’invito rivolto da Cuccia a Craxi a prendere la testa di quella rivoluzione. Però Craxi era un democratico e figlio dei partiti, e quell’invito non lo prese nemmeno in considerazione. Alla fine, il pezzo di magistratura politicizzata fu lo strumento di quella rivoluzione, così come il Partito comunista ne fu la sponda politica”.
“A Sergio Moroni – conclude Stefania Craxi – va ridato l’onore che merita, perché quella classe dirigente politica, quei parlamentari socialisti, non solo erano persone di competenza e di esperienza, che avevano fatto la gavetta nei partiti, ma la stragrande maggioranza di loro erano persone perbene”.
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