l'intervista
Catastrofi naturali? Serve una svolta di pm e ambientalisti. Parla Costa
La storia del piccolo paese vicino alla Spezia di cui era sindaco l'oggi sottosegretario alla Salute: "C’è un ambientalismo ideologico che idolatra la natura e condanna a priori qualsiasi intervento dell’uomo, ma il mantenimento del territorio è opera nostra"
La prima alluvione di cui si ha notizia nella stretta valle del Misa nelle Marche (fiume a carattere torrentizio che passa dalla secca all’improvvisa all’ondata di piena) risale al 1765. Da allora l’esondazione delle sue acque a causa delle forti piogge avviene periodicamente. Nel Novecento se ne sono registrate tredici, le ultime tre in soli sedici anni. Il 3 maggio 2014 le sue acque hanno fatto tredici morti. È ormai risaputa la storia dei lavori bloccati, dei laminatoi e delle vasche di espansione mai realizzati (deturpano il paesaggio), del mancato dragaggio della foce del Misa dove – lo denunciava un articolo del 4 marzo 2022 – si era formato un isolotto di ghiaia e detriti. “Senigallia attende il dragaggio” titolava una testata locale. Ma i lavori sono fermi da due anni a causa di una disputa, che vede protagonisti gli ambientalisti, su dove smaltire la sabbia.
Meno conosciuta è, invece, la storia di un piccolo paese della provincia di La Spezia, Beverino, poco più di tremila abitanti, di cui è stato sindaco Andrea Costa, l’attuale sottosegretario alla salute (Noi Moderati), volto noto agli italiani per l’equilibrio delle sue posizioni sulla pandemia di Covid-19, sul lockdown, sui vaccini, sull’apertura delle scuole.
“Nel 2010 – racconta oggi Costa – constatai che in una frazione del mio comune attraversata dal fiume Vara il letto del corso d’acqua era superiore al livello del manto stradale. Feci un’ordinanza per il dragaggio e l’asporto di cinquemila metri cubi di materiale inerte (sabbia e ghiaia) per ripristinare la quota che avrebbe permesso il deflusso delle acque. Perché questo è il problema di questi fiumi, e per capirlo basta ascoltare gli anziani del paese: bisogna permettere al fiume di trasportare l’acqua che ha sempre trasportato. Se in una bottiglia da un litro metti due bicchieri sabbia, la bottiglia non terrà più un litro d’acqua”.
Ok, lei fa l’ordinanza e cosa succede? “Che vengo denunciato per reato ambientale, denunciato penalmente. Io sapevo di infrangere una legge dello Stato, ma ho giustificato l’ordinanza con una motivazione di pubblica incolumità, era a rischio una frazione del mio comune”. Chi l’ha denunciata? “La provincia di La Spezia, allora guidata da una giunta di sinistra di cui facevano parte anche i verdi”. Lei che fa? “Mando lo stesso le ruspe nel letto del fiume, che fanno il loro dovere, portano via sabbia e ghiaia e la stoccano in un sito del Comune che avevo individuato”.
E la legalità? “Guardi, io comprendo le ragioni per cui fu fatta quella legge, in anni in cui chi costruiva autostrade prendeva sabbia e ghiaia nei fiumi vicino ai cantieri, si era, come al solito, esagerato, ma era una legge di trent’anni prima, superata dagli eventi ed emendabile in base alle situazioni diverse dei vari territori”. La provincia non ha assistito inerte al dragaggio, immagino. “No, a lavori ultimati mi ha ordinato di rimettere il materiale inerte nel letto del fiume”. E lei ha disobbedito un’altra volta. “Certo. Ho risposto che non ero disposto a spendere un euro del Comune per rimettere la sabbia nel fiume”. Come è finita? Purtroppo il 25 ottobre 2011 le piogge torrenziali cadute sulla Liguria provocarono l’alluvione che in sette comuni della Provincia di La spezia, tra cui le Cinque terre, fece undici vittime. Gli abitanti della frazione per cui feci quei lavori si salvarono. Dopo pochi mesi mi arrivò l’archiviazione del procedimento penale a mio carico”.
Morale? “C’è un ambientalismo schematico e ideologico che idolatra la natura e condanna a priori qualsiasi intervento dell’uomo, mentre il mantenimento del territorio non è qualcosa che avvenga da sé, e frutto dell’opera dell’uomo. Oltretutto questi lavori di pulizia dei letti dei fiumi si possono fare a costo zero, pagando le aziende che li fanno con il materiale inerte che scavano e che verrà poi utilizzato in edilizia. Invece, proibendoli, le imprese la sabbia la vanno a cercare nelle cave, creando ferite nelle nostre montagne che, quelle sì, sono un oltraggio all’ambiente”.