La boiata della “Trattativa stato-mafia” fa breccia anche a Reggio Calabria
Al processo "'Ndrangheta stragista" i pm riesumano il teorema della trattativa tra stato e Cosa nostra, già bocciato a Palermo, infilandoci dentro pure clan calabresi, massoneria e servizi segreti deviati. Neanche Travaglio avrebbe potuto scrivere una sceneggiatura migliore
Il processo sulla fantomatica “Trattativa stato-mafia” si è sdoppiato. Non bastava quello aperto a Palermo dai vari Ingroia e Di Matteo, e demolito quasi un anno fa dalla corte d’assise d’appello palermitana, che ha stabilito che non ci fu alcuna “trattativa” tra lo stato e Cosa nostra, bensì un’operazione di intelligence portata avanti dai carabinieri del Ros per fermare le stragi mafiose. L’ipotesi accusatoria bocciata a Palermo è di fatto ancora viva e vegeta, ma a Reggio Calabria. Qui sta infatti andando in scena il processo “‘Ndrangheta stragista”, basato sull’inchiesta lanciata nel 2017 dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, allora diretta da Federico Cafiero De Raho (poi diventato procuratore nazionale antimafia e oggi deputato M5s). Il processo vede imputate due persone: l’ex boss del quartiere palermitano di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto espressione della cosca Piromalli di Gioia Tauro. I due sono accusati dell’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, avvenuto il 18 gennaio 1994, e per questo sono stati condannati in primo grado all’ergastolo. Si tratta molto di più di un semplice processo per l’omicidio di due carabinieri.
Secondo l’ipotesi dei pm, in particolare del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, l’omicidio dei due carabinieri rientrerebbe infatti nella strategia stragista lanciata da Cosa nostra contro lo stato agli inizi degli anni Novanta. A convincere i clan calabresi a partecipare alla strategia stragista sarebbero stati i corleonesi, attraverso una serie di incontri. “Occorreva – scrivono i giudici della corte d’assise nella sentenza di primo grado del processo “‘Ndrangheta stragista” – secondo il progetto del Riina, ‘fare la guerra per poi fare la pace’ con lo stato, ma a condizione di consistenti benefici (c.d. ‘papello’ Riina) che sarebbero stati concessi a Cosa nostra attraverso la mediazione dei nuovi referenti politici”. Riemerge, come si vede, persino il mito del “papello”, che secondo la vulgata antimafiosa sarebbe stato stilato da Riina con le richieste di benefici legislativi rivolte allo stato: “L’attenuazione del regime carcerario con la modifica del regime del 41 bis ord. pen. e la chiusura delle carceri nelle isole (Pianosa e l’Asinara), il mantenimento dei patrimoni illeciti, la modifica della legge sui pentiti, la revisione delle condanne subite dai sodali”. Peccato che, come noto, questo papello non sia mai stato ritrovato e che il documento presentato a Palermo da Massimo Ciancimino, figlio del boss Vito, sia stato ritenuto a livello giudiziario “frutto di una grossolana manipolazione” e del tutto inattendibile.
Si arriva così, quasi inevitabilmente, al teorema della “trattativa”: “La finalità perseguita – scrivono sempre i giudici che hanno accolto le tesi dei pm – rendeva ancor più verosimile l’esistenza di una trattativa, anche perché in quella fase storico-politica, magmatica e tutta in evoluzione (si pensi alle travolgenti inchieste di Mani pulite, allo sfaldamento della c.d. prima Repubblica, alle elezioni del 1994), le aspettative di Cosa nostra di trovare l’interlocutore giusto potevano essere ancora più fondate”.
“Il comune progetto criminale”, come viene definito dai giudici, portato avanti da corleonesi e ‘ndranghetisti, troverebbe fondamento nelle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia. Null’altro. E pazienza se ipotesi e date neanche coincidano in maniera logica tra loro. Ciononostante, la corte in primo grado non ha mostrato dubbi: “‘Ndrangheta e Cosa nostra avevano una necessità impellente: indurre lo stato a trattare”. Non solo, questo univoco progetto stragista avrebbe ricevuto il sostegno di “contesti massonici e pidduisti” e di “soggetti appartenenti ai servizi segreti deviati”.
Ciliegina sulla torta: la strategia stragista si sarebbe fermata solo in seguito all’individuazione di “nuovi referenti politici”, ovviamente poi individuato nel “nascente partito politico di Forza Italia”, lanciato da Silvio Berlusconi, che tramite Marcello Dell’Utri avrebbe garantito leggi a favore dei mafiosi.
Insomma, al processo in corso a Reggio Calabria, la tesi della trattativa bocciata a Palermo non solo viene riproposta, ma ne esce pure rafforzata, attraverso la partecipazione a quest’ultima della ‘ndrangheta e pure della massoneria e dei servizi deviati. Neanche Travaglio avrebbe potuto scrivere una sceneggiatura migliore.