Foto degli scontri tratta da YouTube

Diritto di sciopero non significa fare guerriglia: il caso Italpizza

Ermes Antonucci

Il tribunale di Modena ha rinviato a giudizio 66 persone per gli scontri avvenuti nel 2019 davanti allo stabilimento del colosso delle pizze surgelate: quasi tutti sono sindacalisti Si Cobas e membri dei centri sociali

Il tribunale di Modena ha rinviato a giudizio 66 persone per gli scontri e le tensioni che tra dicembre 2018 e giugno 2019 si registrarono davanti allo stabilimento di Italpizza, gigante della produzione di pizze surgelate, famoso in tutto il mondo, con un fatturato da 166 milioni di euro nel 2021. Il giudice ha anche stabilito l’ammissione del sindacato Si Cobas come responsabile civile. Ciò significa che in caso di condanna il sindacato dovrà risarcire Italpizza, che si è costituita parte civile, per i danni derivanti dai ritardi causati sulla produzione e sulle consegne. I manifestanti, infatti, bloccarono più volte la circolazione stradale per evitare il transito dei camion da e verso l’impianto industriale, dando vita a scontri con le forze dell’ordine. Il Si Cobas ha criticato il provvedimento giudiziario presentando la vicenda come un attentato al diritto di sciopero, e così hanno fatto diversi organi di informazione (il Fatto quotidiano in testa: “Sindacati nel mirino”). Le cose, tuttavia, sembrano stare diversamente

 

Approfondendo il caso, infatti, si scopre che delle 66 persone rinviate a giudizio i lavoratori di Italpizza rappresentano soltanto una piccolissima minoranza. “I lavoratori di Italpizza che risultano sotto processo si contano sulle dita di una mano”, conferma al Foglio l’avvocato Giulio Garuti, legale dell’azienda nel procedimento. Dunque chi sono le persone rinviate a giudizio accusate a vario titolo di violenza privata, resistenza aggravata e manifestazione non autorizzata? Sindacalisti di Si Cobas (che – ribadisce Garuti – “nulla c’entrano con i lavoratori di Italpizza”) e membri dei centri sociali.

 

Le proteste di Si Cobas e centri sociali si innestarono sulle lamentele avanzate da alcuni operai che lavoravano per due cooperative in appalto, secondo quanto previsto dall’accordo siglato nel 2015 dall’azienda con Cgil, Cisl e Uil, e che doveva essere rinnovato proprio alla fine del 2018. Alcuni lavoratori appartenenti alle cooperative, soprattutto donne di origine straniera, decisero di manifestare davanti alla fabbrica di Italpizza, lamentando pesanti turni di lavoro e la mancata assunzione con il contratto collettivo nazionale dell’industria alimentare. Su queste proteste si innestarono le iniziative dei Si Cobas e dei giovani dei centri sociali, che per mesi bloccarono la circolazione stradale davanti ai cancelli di Italpizza, impedendo il transito dei tir in entrata e in uscita dallo stabilimento, sfondarono i portoni per accedere in modo abusivo nella fabbrica e si scontrarono più volte con le forze dell’ordine in assetto antisommossa.  

 

Nonostante le tensioni, il tavolo delle negoziazioni tra Italpizza e sindacati per il rinnovo dell’accordo del 2015 si chiuse nel luglio 2019. L’azienda decise di riconoscere ai lavoratori aumenti retributivi e, a partire dal 1 gennaio 2022, di internalizzare la manodopera gestita da una delle cooperative, assumendo 470 operai esterni. 

 

Poiché, però, un conto è scioperare e un altro è bloccare le attività di un’azienda, interromperne l’attività produttiva e scontrarsi con le forze dell’ordine, la procura di Modena ha aperto un’inchiesta su quanto avvenuto in quei mesi di tensione. Il primo filone dell’indagine ha portato al rinvio a giudizio di 66 persone, il secondo filone vede indagate altre 53 persone

 

Dalle prime indagini, afferma il giudice che ha disposto il rinvio a giudizio per i 66 imputati, è emerso che “si sono svolte manifestazioni sindacali non autorizzate con effetto a sorpresa e con superamento indiscutibile del limite della liceità in quanto degenerate in condotte violente e minacciose ai danni sia di privati che di pubblici ufficiali, e in accessi abusivi a locali di Italpizza con ostruzione di accessi in azienda di merci e persone con conseguente pregiudizio al normale andamento del lavoro; ne consegue che non si è trattato di esercizio del diritto di sciopero costituzionalmente garantito né di mera resistenza passiva ancillare al diritto di sciopero”. 

 

Ovviamente le accuse dovranno ora essere confermate in dibattimento, ma di certo risulta difficile parlare di attentato al diritto di sciopero. 

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