possibili sviluppi
Il Tribunale dell'Ue ha annullato il commissariamento di Carige. Ecco che cosa comporta
L'organo ritiene di aver individuato un "errore di diritto" commesso dalla Bce nella sovrapposizione tra le regole europee e quelle della normativa nazionale
Con una decisione che gli esperti interpellati dal Foglio non esitano a definire “senza precedenti”, il Tribunale dell’Unione europea ha annullato la decisione della Bce del primo gennaio 2019 di commissariare Banca Carige. Sentenza che, da una prima valutazione, non dovrebbe avere effetti sulla vendita della banca ligure al gruppo Bper, ma potrebbe aprire la strada per un risarcimento danni in favore della piccola azionista che ha proposto il ricorso contro la Bce, tale Francesca Corneli, e rappresentare un appiglio giuridico per l’ex socio di maggioranza di Carige, Vittorio Malacalza, che contro la sua estromissione dalla banca e la messa in amministrazione straordinaria ha intrapreso una battaglia legale.
In effetti, non si trovano casi passati in cui il Tribunale Ue abbia messo in discussione quanto stabilito dalla Bce nella sua veste di organo di vigilanza sulle banche. Tale attività, per effetto di un processo di unione bancaria rimasto incompleto, è resa più complicata dalla necessità di armonizzare le regole europee con quelle degli stati membri in cui vigono normative come il nostrano testo unico bancario (Tub). Ed è in questa sovrapposizione tra normativa internazionale e normativa nazionale che il Tribunale Ue ritiene di aver individuato un “errore di diritto” commesso dalla Bce. Quest’ultima, in buona sostanza, avrebbe richiesto e ottenuto lo scioglimento del vecchio consiglio di amministrazione di Carige e l’istituzione di un’amministrazione straordinaria sulla base del presupposto che nel 2018-19 esisteva un “deterioramento particolarmente significativo” della situazione della banca.
E in effetti, Malacalza e gli azionisti che all’epoca detenevano il 70 per cento del capitale si erano opposti alla richiesta di ricapitalizzazione di 400 milioni che la Bce riteneva indispensabile per proseguire l’attività. In quella circostanza la Banca centrale europea avrebbe deciso di sciogliere il cda e nominare tre commissari (Pietro Modiano, Fabio Innocenzi e Raffaele Lener) sulla base di una libera interpretazione degli articoli 69 e 70 del Tub e della parallela applicazione di una direttiva europea (2059/14). Secondo l’interpretazione del Tribunale, invece, l’articolo 70 del Tub lasciava spazio a un’altra possibilità per risolvere la crisi: la rimozione degli amministratori e la loro sostituzione. E nella fattispecie, afferma il Tribunale, sarebbe dovuto prevalere il diritto nazionale su quello comunitario.
Si capisce bene la differenza: nel primo caso Carige sarebbe sopravissuta in quanto tale, seppure con nuovi amministratori che avrebbero provato a condurla fuori dalle acque burrascose, nel secondo – che poi è cio che è avvenuto – la banca è entrata in una fase di gestione commissariale alla quale è subentrato il Fondo interbancario per la tutela dei depositi, il quale dopo qualche anno ha avviato la procedura per la cessione. Non è dunque una questione di lana caprina, di punto di diritto, ma di sostanza: con un’altra interpretazione e applicazione della normativa, la storia di Carige degli ultimi quattro anni sarebbe potuta essere diversa. Che cosa succede adesso?
Contro la decisione del Tribunale Ue, entro settanta giorni, può essere proposta un’impugnazione, limitata, però, alle questioni di diritto, dinanzi alla Corte di giustizia europea. In altre parole, la Bce può appellarsi e certamente lo farà poiché ne va della sua reputazione nell’ambito dell’attività di vigilanza e anche per evitare di esporsi alle richieste di risarcimento danni da parte di chi si è sentito danneggiato dalle sue decisioni, per esempio lo stesso Malacalza. Alla fine, secondo il parere unanime di giuristi e avvocati d’affari sentiti dal Foglio, che per motivi di opportunità hanno preferito non essere citati, non sono in discussione gli atti successivi al commissariamento di Carige (compresa la vendita a Bper), seppure fosse accertato che il presupposto su cui è stato deciso era errato. Questo perché vige il principio che tutela gli interessi delle parti terze coinvolte.
Resta in questa strana vicenda la sorpresa e l’imbarazzo di fronte alla divergenza di vedute di due istituzioni europee come il Tribunale del Lussemburgo e la Banca centrale europea. Ma, come spiegano i tecnici, la diatriba si può considerare alla stregua di quanto avviene in Italia con gli organi di giurisdizione amministrativa come i Tar, ai quali ci si può rivolgere quando si ritiene sia stato leso un proprio interesse legittimo. Il futuro di Carige non cambierà per questo.
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