Un modo per avere verità su Regeni c'è. Serve la volontà politica

Ermes Antonucci

Vista la mancata cooperazione delle autorità egiziane per far luce sull'omicidio di Giulio Regeni, l'Italia potrebbe ricorrere alla Convenzione Onu contro la tortura. "Dall'Egitto violazioni palesi del trattato", ci dice Pisillo Mazzeschi, professore emerito di Diritto internazionale all’Università di Siena

C’è una via concreta per cercare di ottenere verità dall’Egitto sull’omicidio di Giulio Regeni, che va al di là del processo penale in corso a Roma, da tempo sospeso per l’impossibilità di notificare gli atti ai quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati di avere sequestrato, torturato e ucciso il giovane ricercatore italiano nel 2016 al Cairo. Questa via risponde al nome di “Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”, adottata nel 1984 e da allora ratificata da oltre 170 paesi in tutto il mondo, tra cui proprio Italia ed Egitto. La Convenzione, come spiega al Foglio Riccardo Pisillo Mazzeschi, professore emerito di Diritto internazionale all’Università di Siena, “prevede quattro obblighi: non torturare (tramite agenti di polizia, servizi segreti o qualsiasi altro organo), prevenire la tortura, cooperare con le autorità degli altri paesi e indagare sui casi di sospetta tortura”. “Anche se non si volesse dare per certo il coinvolgimento di agenti dei servizi segreti nell’omicidio di Regeni, quantomeno sugli ultimi due obblighi la violazione dell’Egitto appare palese”, aggiunge Pisillo Mazzeschi. 

 

L’obbligo di investigazione, relativamente alla tortura, è stabilito espressamente dall’articolo 12 della Convenzione del 1984: “Ogni stato parte provvede affinché le autorità competenti procedano immediatamente ad un’inchiesta imparziale ogniqualvolta vi siano ragionevoli motivi di credere che un atto di tortura sia stato commesso in un territorio sotto la sua giurisdizione”. L’articolo 9, invece, prevede esplicitamente l’obbligo di cooperazione giudiziaria fra gli stati: “Gli stati parti s’accordano l’assistenza giudiziaria più vasta possibile in qualsiasi procedimento penale relativo ai reati previsti dall’articolo 4, compresa la comunicazione di tutti gli elementi di prova disponibili e necessari ai fini del procedimento”. 

 

Negli ultimi anni, non solo le autorità investigative egiziane non hanno mai svolto indagini serie per chiarire le dinamiche dell’omicidio di Regeni, ma l’Egitto ha anche palesemente violato l’obbligo di cooperazione giudiziaria con l’Italia. “Ad oggi non abbiamo ricevuto alcuna risposta dall’autorità egiziana in merito ai quattro imputati. L’ultima sollecitazione in ordine di tempo risale al 6 ottobre”, ha riferito martedì al gup di Roma il capo dipartimento per gli Affari Giustizia al ministero di via Arenula, Nicola Russo, aggiungendo: “Gli egiziani non hanno risposto neanche alla richiesta di incontro che la ministra Marta Cartabia aveva chiesto nel gennaio scorso”. 

 

Per queste ragioni, spiega il prof. Pisillo Mazzeschi, l’Italia potrebbe invocare l’applicazione dell’articolo 30 della Convenzione contro la tortura, che prevede una procedura di risoluzione delle controversie: “La procedura si compone di quattro fasi. Come prima cosa il governo italiano dovrebbe notificare formalmente al governo egiziano che ritiene che l’Egitto abbia commesso una violazione della Convenzione. La seconda fase prevede una procedura di negoziato. In questa fase l’Italia potrebbe anche proporre l’istituzione di una commissione internazionale di inchiesta per accertare i fatti. Qualora la controversia non sia risolvibile con i negoziati, il governo italiano potrebbe sottoporla ad arbitrato, in via unilaterale. L’arbitrato internazionale permetterebbe di accertare la verità ed eventualmente chiedere anche una riparazione”.

 

Se entro sei mesi dalla richiesta di arbitrato l’Italia e l’Egitto non si accordassero – prosegue il docente – l’articolo 30 prevede che l’Italia possa ricorrere direttamente alla Corte internazionale di giustizia, cioè il massimo tribunale internazionale”. “Fino a oggi la Farnesina ha voluto far prevalere gli interessi geopolitici ai diritti umani, ma ora si è arrivati a un livello vergognoso, perché il nostro paese viene preso in giro da anni”. Insomma, la strada per cercare la verità sull’omicidio Regeni ci sarebbe. Occorrerebbe volerla intraprendere. La parola spetta ora al prossimo governo. 

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