il caso
“Mi mostrò i verbali segreti di Amara”: Davigo inguaiato anche dalla sua ex assistente
La testimonianza di Giulia Befera: “I verbali li ho visti cartacei dalle mani di Davigo”. Anche la consigliera Pepe conferma di aver saputo dell’indagine segreta da lui
E’ stata un’udienza da dimenticare per Piercamillo Davigo, quella svoltasi ieri a Brescia nell’ambito del processo che vede l’ex pm di Mani pulite ed ex consigliere del Csm imputato per rivelazione di segreto d’ufficio. L’accusa è di aver divulgato i verbali segreti di Piero Amara sulla presunta loggia Ungheria, ricevuti dal pm milanese Paolo Storari nell’aprile 2020. L’ex assistente di Davigo, Giulia Befera, ha infatti ammesso molto serenamente di aver avuto notizia dell’indagine e anche di alcuni nomi dei soggetti coinvolti (in particolare dell’allora membro del Csm Sebastiano Ardita, parte civile nel processo) proprio dal suo “capo”: “Piercamillo Davigo mi parlò in modo sommario e confidenziale dei verbali su una ipotetica loggia all’interno della quale si diceva ci fossero esponenti delle forze dell’ordine e magistrati e mi fece il nome di Sebastiano Ardita. Mi disse che quei verbali gli erano stati consegnati da qualcuno della procura di Milano ed era preoccupato di un certo immobilismo, che non venisse aperta una indagine per capire. Era preoccupato per il nome di Ardita, una persona che conosceva molto bene e aveva frequentato”. “Quando mi parlò della presunta loggia Ungheria mi fece vedere qualche rigo dove si faceva un elenco dei nomi, i verbali li ho visti cartacei dalle mani di Davigo”, ha aggiunto Befera.
Insomma Davigo, che è accusato di aver ricevuto i verbali di Amara da Storari (per questo imputato in un procedimento parallelo) e di averne rivelato illecitamente il contenuto ad altri cinque consiglieri del Csm e pure al senatore Nicola Morra, avrebbe parlato dell’indagine anche con la sua assistente Giulia Befera, mostrandole i verbali ancora secretati.
Befera ha messo nei guai anche Marcella Contrafatto, all’epoca segretaria di Davigo, ora indagata per calunnia a Roma con l’accusa di aver inviato copia dei verbali secretati ad alcuni giornalisti e al consigliere del Csm Nino Di Matteo. “Marcella Contrafatto mi disse ‘ho questa pazza idea’, ossia di mandare i verbali ai giornali per ristabilire un ordine, nella sua ottica, dopo il voto contrario sulla permanenza di Davigo al Csm”, ha riferito Befera. Il riferimento è alla delibera con cui il Csm aveva decretato la decadenza dell’ex pm di Mani pulite dalla carica di togato a Palazzo dei Marescialli, per raggiunti limiti di età. Contrafatto giunse a chiedere a Befera l’e-mail di Marco Travaglio, direttore del Fatto quotidiano. “lo le dissi che Davigo non ne sarebbe stato assolutamente felice, mi sono dissociata”, ha aggiunto Befera nella sua testimonianza in aula a Brescia, aggiungendo che Davigo era all’oscuro di quanto sarebbe stato fatto dall’ex segretaria.
Nell’udienza di ieri è stata sentita come testimone anche Ilaria Pepe, componente togata del Csm. Pepe ha confermato di essere stata informata da Davigo agli inizi di maggio 2020 sull’esistenza dell’indagine sulla presunta loggia Ungheria: “Davigo mi parlò nel cortile del Csm di dichiarazioni rese da Amara alla procura di Milano. Mi disse che era estremamente preoccupato perché nelle dichiarazioni Amara indicava due componenti del Consiglio, Ardita e Mancinetti, come vicini, affiliati o coinvolti in una loggia”. Pepe ha anche confermato di aver “fisicamente visto” i verbali di Amara, ma di non averli letti, poiché Davigo aveva detto che avrebbe informato della vicenda il vicepresidente del Csm e il procuratore generale della Cassazione. Interpellata più volte sul punto dal giudice Roberto Spanò, presidente del collegio giudicante, Pepe ha affermato (in modo abbastanza paradossale) di non essersi particolarmente interrogata sulla natura segreta dei verbali e sulla liceità del comportamento di Davigo: “Non mi è stato detto che i verbali erano secretati e Davigo disse che potevo ricevere quelle confidenze perché a noi consiglieri non è opponibile il segreto, in virtù di circolari del Consiglio”. Da parte di Davigo venne poi un “invito alla cautela” verso Ardita.
Davigo, come sempre presente all’udienza, non si è trattenuto anche questa volta dal rilasciare alcune dichiarazioni spontanee per chiarire le dinamiche del suo rapporto con Ardita: “I nostri rapporti personali sono finiti perché io non mi fidavo più di lui e non gli ho rivolto più la parola. Pensavo mi nascondesse qualcosa”, ha detto Davigo, precisando che i contrasti con Ardita sono cominciati ben prima di aver saputo della vicenda Ungheria, e più precisamente ai tempi dello scandalo dell’hotel Champagne. “Questa non è una causa di separazione e divorzio”, aveva ironizzato in precedenza (inutilmente) il giudice Spanò.