eterno problema
Se Fontana vi fa paura, ricordatevi della vera emergenza: la giustizia
L’assurdo nuovo rotocalco criminale del Fatto annuncia un imminente processo su Dell'Utri. Ma il Tribunale ha già rigettato la richiesta di un sequestro patrimoniale dei suoi familairi più stretti
Di passaggio a Cassina de’ Pecchi, nordest milanese, per ricevere una cittadinanza onoraria, Nicola Gratteri ci ha rassicurati di non essere in corsa per il ministero della Giustizia, “nessuno me l’ha chiesto”, ha detto. Non che questo metta tranquilli, per un settore come quello della giustizia che le gracili riforme Cartabia non hanno guarito, in un paese ancora affamato di giustizialismo.
In attesa di scoprire il nome di via Arenula, colpisce però il ritorno in auge di filoni mediatico-giudiziari del passato, quasi fosse bastata la rielezione di Berlusconi per far annusare di nuovo la pista. Se giovedì era apparso bizzarro un articolo di Repubblica sui possibili futuri guai del Cavaliere, addirittura per un nuovo filone legato alle stragi del 1993 per il quale è già stato archiviato due volte, decisamente a livelli di crime fiction sono al Fatto quotidiano. Che giovedì lanciava come un missile balistico l’annuncio di un imminente processo: “La procura di Palermo ha proposto di sequestrare con le misure di prevenzione i beni di Marcello Dell’Utri e anche dei suoi familiari più stretti (coinvolti solo indirettamente e non per fatti da loro compiuti) perché li considerava frutto del periodo in cui l’ex senatore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa era stato pericoloso socialmente per la sua vicinanza alla mafia”. Uno scoop al passato remoto. La cosa strabiliante è però questa: “Il Tribunale il 9 giugno ha rigettato la richiesta di sequestro patrimoniale”. Uno scoop al passato già archiviato.
Così che ieri l’indomito Marco Lillo, nel sequel, è stato giocoforza costretto a deludere i suoi avidi lettori di rotocalchi criminali. E ha dovuto a riportare le motivazioni della bocciatura del tribunale. Resta però, informa il Fatto, che lo stesso tribunale “per il versante ‘personale’ ha fissato l’udienza a Palermo il 20 ottobre”. Sarà la prima udienza di un processo che ha per oggetto non tanto un reato, da accertare, bensì la richiesta dei pm di applicare una misura di prevenzione ispirata da avvenimenti del passato, perché Dell’Utri è “ritenuto dall’accusa (e non ancora da nessun giudice) pericoloso socialmente per i suoi legami con la mafia”. Al centro di tutto ci sarebbe “questo continuo flusso di denaro (indicato in euro 26.075.263,00, allegato 2 della nota della Guardia di Finanza del 22 febbraio 2022)” la cui provenienza (illecita?) non è mai stata accertata. In trent’anni. Ma per i pm questo “non può che dimostrare che la presunta liberalità di Berlusconi verso Dell’Utri trova le sue origini nella peculiare storia dei loro rapporti e degli affari poco limpidi”. Eccetera. E si scandaliizava pure, Lillo che la stampa italiana abbia “deciso di ignorare” il suo romanzo.
Del resto, la mattina dopo, Lillo deve raccontare: “I pm di Palermo hanno cercato (finora senza fortuna) di convincere il Tribunale che quel fiume di denaro celi un ricatto di Dell’Utri a Berlusconi per i segreti inconfessabili”. Purtoppo per lui e per i pm, dicono i giudici che “nel processo per concorso esterno, però, non è stato mai affermato che Dell’Utri avesse in qualche modo agevolato il riciclaggio di capitali illeciti nelle attività del Berlusconi”. Talché pure il Fatto deve dire che “la presunzione di non colpevolezza sulle misure di prevenzione deve valere ovviamente anche per i condannati che hanno espiato la pena come Dell’Utri”. Conclude sconsolato Lillo il suo ultimo capitolo: “La tesi dell’accusa del ricatto di Dell’Utri a Berlusconi come causale dei pagamenti oggettivamente enormi di Berlusconi alla sua famiglia come detto è stata sconfessata dal Tribunale. Il ricatto non è stato dimostrato dai pm perché non è dimostrata l’esistenza di un rapporto inconfessabile”. Cosicché “l’indagine sui soldi di dell’Utri, durata molti anni, potrebbe finire in un nulla di fatto”. Un finale parecchio deludente, bisogna ammetterlo, per gli scafatissimi lettori di romanzi siculo-criminali. Ma chiuso il libro dei sogni (dei pm di Palermo e del Fatto), rimane a margine una considerazione ancor più amara: tiene banco con gran drammatizzazione di metà del paese (quello che ha perso le elezioni) l’allarme democratico innescato dalla minacciosa nomina di La Russa e Fontana ai vertici del Parlamento; ma forse sarebbe il caso di non dimenticare quale sia la vera eterna emergenza democratica italiana: una giustizia che fa paura.