la ricostruzione
Com'è nato il pasticcio di Meloni e Piantedosi sui rave
La norma contro i raduni illegali approvata dal governo è stata scritta in fretta e furia per volontà del ministro dell’Interno. Nessuna collaborazione con il Guardasigilli Carlo Nordio, che ne sarebbe stato all'oscuro fino all'arrivo in Cdm
Tutto troppo in fretta. Così è nato il pasticcio della norma anti-rave, approvata lunedì dal Consiglio dei ministri e già bocciata da decine di giuristi per la sua incomprensibilità tecnica e i suoi potenziali pericoli per la libertà dei cittadini. La norma, come ricostruito dal Foglio, è stata scritta in fretta e furia per volontà del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. E’ stato il nuovo ministro dell’Interno ad attivarsi, dopo aver ricevuto la segnalazione che il capannone in cui a Modena si stava svolgendo il rave era a rischio crollo. A differenza di quanto riportato da diversi giornali, Piantedosi non si è affatto limitato a recuperare dal cassetto le norme elaborate dal suo predecessore, la ministra Luciana Lamorgese, ma ha fatto scrivere dal suo ufficio legislativo un testo completamente nuovo.
Un testo che introduce un nuovo articolo al codice penale (il 343-bis), che però non definisce l’oggetto del reato, usa un linguaggio tautologico, prevede concetti vaghissimi. “Un caso assoluto di analfabetismo legislativo”, l’ha definito ieri su queste pagine il professor Tullio Padovani, luminare del diritto penale. Il risultato di una norma scritta in maniera così pedestre è che essa potrà essere interpretata con ampia discrezionalità dai magistrati ed essere applicata anche ai casi di occupazione di edifici scolastici e universitari.
Persino il deputato di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone, in un’intervista a La7 ieri ha ammesso che “questa norma può essere applicata giustamente ai palazzi occupati pubblici o privati”. Questo nonostante nella relazione illustrativa del provvedimento si legga che “l’intervento normativo mira a rafforzare il sistema di prevenzione e di contrasto del fenomeno dei grandi raduni musicali, organizzati clandestinamente (c.d. rave party)”.
Non solo. Prevedendo una pena fino a sei anni per gli organizzatori dei raduni in terreni ed edifici altrui, con la presenza di almeno cinquanta persone, il nuovo reato consentirà agli inquirenti anche di svolgere intercettazioni. Una grande pesca a strascico, che potrebbe finire per riguardare centinaia di persone, anche i partecipanti, per i quali viene prevista una pena “diminuita”. E viene da sorridere immaginando uno squadrone di agenti di polizia giudiziaria mentre ascolta le conversazioni o legge le chat di centinaia di ragazzini o adulti che intendono partecipare a un rave party.
Anche la ministra Lamorgese, come ricordato nelle ultime ore, un anno fa aveva dichiarato di voler intervenire sul tema in seguito all’episodio del rave organizzato a Viterbo. “Sono convinta che serva un intervento normativo per rafforzare il sistema di prevenzione e contrasto”, disse. Secondo quanto ricostruito dal Foglio, effettivamente la ministra Lamorgese fece elaborare dai suoi uffici una nuova norma. Questa, però, non prevedeva la creazione di un nuovo reato, ma aggiungeva un’aggravante all’articolo del codice penale che già oggi permette di intervenire nei casi di raduni illegali. Si tratta dell’articolo 633, che punisce “chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”.
“La proposta non prevedeva un reato autonomo, ma si innestava sull’articolo 633 del codice penale. Inoltre le pene erano più basse”, riferiscono ambienti vicini all’ex ministra Lamorgese. “Il testo approvato lunedì dal Consiglio dei ministri costituisce un’assoluta novità. L’intervento proposto all’epoca dal ministero dell’Interno andava a modificare l’articolo 633 del codice penale”, confermano diverse fonti vicine all’allora Guardasigilli Marta Cartabia.
Pur essendo più basse, però, le pene previste dalle norme proposte da Lamorgese consentivano comunque il ricorso alle intercettazioni, e proprio su questo emerse una frizione con l’ex ministra della Giustizia, perplessa sul possibile utilizzo di uno strumento di indagine così invasivo per contrastare i raduni illegali.
Alla fine, così, la proposta avanzata dal ministero dell’Interno venne accantonata dal governo Draghi. Un accantonamento, spiegano oggi, “frutto di normali interlocuzioni tra i ministeri”. Proprio ciò che sembra essere mancato in occasione dell’approvazione della norma voluta da Piantedosi, della quale il nuovo Guardasigilli Carlo Nordio sarebbe addirittura rimasto all’oscuro fino all’arrivo in Consiglio dei ministri.