Archiviata anche a Mantova l'indagine sui morti nelle Rsa durante la pandemia
Il gip accoglie la richiesta di archiviazione della procura: “Fenomeno eccezionale, scarse informazioni scientifiche sul virus, mancanza di dispositivi di protezione”. Resta l’incognita dell’indagine di Bergamo
Non si ferma l’ondata di archiviazioni delle inchieste aperte sui decessi avvenuti negli ospedali e nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) durante la prima ondata di pandemia da Covid-19, agli inizi del 2020. Nei giorni scorsi, il gip del tribunale di Mantova, Antonio Serra Cassano, ha infatti disposto l’archiviazione dell’indagine che coinvolgeva diverse Rsa mantovane, nei confronti delle quali erano stati ipotizzati i reati di omicidio colposo, lesione colposa e omissione di atti d’ufficio nella gestione della pandemia. Secondo l’accusa iniziale dei pm, i dirigenti delle case di riposo avevano contribuito, con il loro comportamento negligente e omissivo, a favorire la diffusione dei contagi nelle strutture e a provocare così un aumento dei decessi.
Al termine delle indagini, che si sono basate anche su accertamenti affidati ai carabinieri del Nas di Cremona, è stata la stessa procura di Mantova a chiedere e ottenere l’archiviazione dell’inchiesta. “Per quanto vengano individuate alcune lacune gestionali dell’emergenza da parte della dirigenza delle Rsa, e individuati comportamenti più o meno virtuosi – si legge nella richiesta di archiviazione accolta dal gip – in tutti i casi investigati dette difficoltà vengono ricondotte non a condotte dolose o colpose della dirigenza delle strutture ma fondamentalmente dipendenti dall’eccezionalità del fenomeno, dalle scarse informazioni scientifiche sul virus Sars-Cov, quantomeno nel periodo iniziale che interessa in questa sede, nonché da tutte le difficoltà incontrate a livello di pubblica amministrazione e degli enti pubblici preposti alla gestione della pandemia, anche in ordine alla iniziale mancanza o genericità delle disposizioni fornite alle Rsa”. Nel provvedimento di archiviazione si fa riferimento anche all’informativa dei Carabinieri del Nas di Cremona, in cui si sottolinea “l’indisponibilità materiale di dispositivi diagnostici e di protezione, quali tamponi e mascherine, quantomeno nel primo periodo pandemico”.
“L’archiviazione è la fine di un incubo per gestori di enti no profit che operano gratuitamente, senza alcun scopo di lucro, a favore di una popolazione fragile”, dichiara al Foglio l’avvocato Luca Degani, legale delle Rsa coinvolte nell’inchiesta. “Certamente è un’archiviazione che si basa su una modalità scientifica di analisi degli eventi, dove l’imprevedibilità della pandemia e soprattutto le difficoltà di contrasto nella prima fase sono ben evidenziate dal giudice. Ovviamente ciò che è stato impossibile in un primo momento è stato effettuato in seguito, anche attraverso la collaborazione delle Rsa, al fine di tutelare le persone anziane ospiti delle strutture”.
Quella mantovana è solo l’ultima indagine a essere archiviata tra quelle che, nate sull’onda delle tendenze giustizialiste dell’opinione pubblica, miravano a individuare nei dirigenti delle strutture sanitarie o addirittura nei medici i colpevoli per le morti avvenute durante una delle peggiori pandemie della storia. Da nord a sud, le procure di tutta Italia (come quelle di Torino, Como, Lodi, Bari) hanno chiuso i fascicoli di indagine sulla gestione dei pazienti nelle Rsa e negli ospedali chiedendo l’archiviazione, riconoscendo l’eccezionalità dell’evento e l’oggettiva assenza di conoscenze scientifiche e dispositivi di protezione all’inizio della pandemia.
L’unica procura che ancora sembra voler insistere su questa strada è quella di Bergamo. Dopo aver aperto un’indagine con l’ipotesi di epidemia colposa per la gestione dell’ospedale di Alzano Lombardo, dove nel febbraio 2020 vennero ricoverati i primi pazienti positivi al coronavirus, gli inquirenti hanno esteso l’inchiesta fino alla mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana e pure al mancato aggiornamento del piano pandemico nazionale. Dopo gli iniziali fuochi d’artificio, con le visite dei pm a Palazzo Chigi (viene da chiedersi quale sia la competenza territoriale della procura di Bergamo sulla redazione del piano pandemico), l’inchiesta è poi finita nel dimenticatoio.
Avviato nel febbraio 2020, con le prime persone indagate nel settembre-ottobre dello stesso anno, il procedimento ha ormai superato il termine di durata massima di due anni per le indagini preliminari. I pm, però, non hanno ancora deciso cosa fare delle persone indagate e delle accuse ipotizzate. Qualunque sarà la decisione, questa avrà un impatto non da poco sul piano politico, considerata la volontà di tutti i principali partiti, di maggioranza e non, di istituire una commissione di inchiesta sulla gestione della pandemia.