Accusato dalla moglie di abusi sessuali sulla figlia minore: assolto dopo sei anni
Il calvario di un funzionario della Corte dei conti, finito anche in carcere per 13 giorni. Al processo la figlia ha poi raccontato di essere stata spinta dalla madre ad accusare l'uomo, che al Foglio dice: "Ora voglio tornare a vivere"
"Negli ultimi sei anni ho pensato solo a difendermi da accuse infamanti. E’ un periodo dove si vive, ma in realtà non si vive. E’ un periodo sospeso. E’ una non vita”. Con queste parole S. O. (queste le sue iniziali) racconta al Foglio l’incredibile vicenda giudiziaria che lo ha visto protagonista. Funzionario della Corte dei conti, 62 anni, originario di un piccolo comune a pochi chilometri da Palermo, nell’agosto 2016 venne accusato dalla moglie, dalla quale si stava separando, di aver violentato la figlia minorenne e di aver compiuto maltrattamenti. Trascorse tredici giorni in carcere in custodia cautelare. La figlia, che all’epoca aveva dodici anni, venne indotta dalla madre a riferire di aver subìto abusi sessuali. In sede processuale, le accuse si sono poi dimostrate del tutto infondate. Il funzionario, assistito dagli avvocati Claudio Gallina Montana e Valeria Minà, prima è riuscito a ottenere in udienza preliminare l’archiviazione dell’accusa di violenza sessuale, poi, al termine di un processo durato oltre sei anni, è stato assolto dal tribunale di Termini Imerese anche dalle accuse di maltrattamenti e lesioni. Fondamentale la testimonianza della figlia, nel frattempo diventata maggiorenne, che in aula ha confermato che a spingerla a sostenere le accuse contro il padre era stata la madre. Il giudice ha deciso di inviare gli atti alla procura affinché valuti l’ipotesi di procedere per calunnia nei confronti della donna.
“L’obiettivo della signora – racconta il funzionario riferendosi all’ex moglie – era quello di togliermi beni materiali, soldi, tutto. Voleva rovinarmi. Probabilmente addossava a me la colpa di una vita che non aveva potuto avere con il precedente fidanzato”. Il matrimonio, seppur durato oltre dieci anni, era iniziato male. La donna era stata indotta dai propri genitori a sposare l’uomo, essendo quest’ultimo ritenuto una brava persona, un lavoratore, uno “sistemato”, a differenza del precedente fidanzato, del quale però la donna era rimasta innamorata.
L’insoddisfazione della donna è esplosa dieci anni dopo, con discussioni sempre più frequenti, litigi, insulti. Infine, la richiesta di separazione. Quando la separazione consensuale non va a buon fine a causa delle richieste economiche della donna, quest’ultima denuncia improvvisamente il marito di abusare sessualmente della figlia, allora 12enne, e di maltrattamenti in casa contro di lei e l’altro figlio maggiore. L’uomo finisce in carcere. “Mi convocarono in caserma la sera, pensavo che volessero soltanto informarmi di qualcosa, invece mi dissero che dovevano arrestarmi – ricorda S. O. – Fu una cosa terribile, mi schiacciò. In carcere mi sentivo un estraneo, non accettavo di stare lì dentro. Quando vieni da una vita normale, non riesci neanche a immaginare conseguenze di questo genere”.
La giustizia, comunque, fa il suo corso. In sede di incidente probatorio si palesano tutte le contraddizioni delle accuse di violenza sessuale sulla figlia minorenne. “I consulenti nominati dal tribunale hanno ascoltato diverse volte mia figlia e hanno capito subito che l’accusa non reggeva e che non era avvenuto niente”. Pur archiviando l’accusa di violenza sessuale, il giudice decise comunque di rinviare a giudizio l’uomo per maltrattamenti e lesioni. Anche queste accuse sono crollate in dibattimento, grazie alla coraggiosa testimonianza della figlia, intanto divenuta maggiorenne: “In aula – spiega l’uomo – mia figlia ha affermato di essere stata manipolata dalla madre per addebitarmi accuse di abusi e di maltrattamenti del tutto false. ‘Dobbiamo fottere tuo padre, così poi abbiamo tanti soldi e possiamo comprare tutto quello che vogliamo’: questa fu l’espressione che usò”.
La verità alla fine è arrivata, anche se dopo oltre sei anni di processo. “Sono stato messo a dura prova. Giorno dopo giorno l’unico mio obiettivo era quello di dimostrare la mia innocenza, di stare sempre al passo coi tempi del tribunale. Tutto ruotava attorno alle date delle udienze. A parte il dolore che provavo per le accuse, c’è stata anche la fase processuale che mi ha sfiancato”, confida il funzionario. “La vicenda ha determinato conseguenze su tutti i fronti: vita personale, lavoro, relazioni sociali. Fino a quando non riesci a dimostrare la tua innocenza c’è sempre qualcuno che ti vede con sospetto. Fortunatamente i miei amici e i miei colleghi hanno capito fin da subito l’infondatezza delle accuse e mi sono stati sempre vicini”.
Per il futuro, il pensiero è tutto rivolto ai figli: “Devo ancora metabolizzare la sentenza, ma già penso a loro. Voglio stargli vicino. Nello stesso tempo spero che la serenità che andrò a ritrovare mi possa aiutare pian piano a dimenticare quello che ho subìto. Come dicevo, sono stati sei anni di non vita. Ecco, ora vorrei tornare a vivere”.