La legge c'è già
Dai rave ai blocchi stradali. Introdurre nuovi reati non rende la società più sicura
Un modo per processare penalmente chi ostruisce il traffico? Esiste, e aggiungere una norma ad hoc e simbolica fa solo gioco al panpenalismo, che vuole soddisfare i bisogni contingenti dell'opinione pubblica
Si sta discutendo molto, in questi giorni, di uso e abuso dello strumento penale e della sua capacità di offrire risposte efficaci a nuovi bisogni di sicurezza e tutela. Un banco di prova interessante è rappresentato da recenti fenomeni di protesta che, in una esemplare eterogenesi dei fini, si trasformano, nella percezione comune, in forme di intollerabile disturbo della collettività o in deprecabili atti di vandalismo a danno del patrimonio culturale. Ci si riferisce alle ricorrenti interruzioni della circolazione stradale da parte di manifestanti (in particolare, ma non solo, sul Grande raccordo anulare di Roma) e all’imbrattamento (non permanente) di quadri e opere d’arte compiuto da sedicenti ambientalisti (da ultimo, sempre a Roma, è stato insudiciato, con una zuppa di verdura, “Il seminatore” di Van Gogh). Eterogenesi dei fini, anzitutto; perché si tratta di manifestazioni che, in realtà, anziché stimolare empatia, rafforzare sensibilità e attrarre consensi sul tema ambientale, finiscono per ripercuotersi negativamente sugli stessi obiettivi sbandierati: l’aumento esponenziale del (già elevato) tasso di inquinamento a causa degli ingorghi che ne scaturiscono, da un lato, e il danno (per fortuna non irreparabile) cagionato a opere dell’ingegno che non possono non essere ricomprese nel perimetro del concetto di natura che si pretenderebbe di preservare, dall’altro, ne sono ampia riprova.
Accantonato questo profilo, che rasenta il confine tra sociologia e (psico)patologia, i disagi e i danni (di vario genere, effettivi e potenziali) arrecati da tali condotte hanno spinto a invocare ancora una volta la potenza salvifica del diritto penale e a reclamare l’introduzione di nuove fattispecie calibrate sulla specifica esigenza di reprimere fenomeni del genere (qualcuno, ancor più fantasiosamente, ha addirittura auspicato l’applicazione dell’art. 5 del d.l. 162 del 2022, la cosiddetta norma “anti-rave”). Ora, prescindendo qui da ogni considerazione sulla reale meritevolezza di pena, va segnalato come il nostro ordinamento già contempli ipotesi dirette a fronteggiare condotte siffatte.
Con riferimento ai blocchi stradali, ferma restando l’applicazione delle sanzioni per eventuali reati ipotizzabili quando a tali manifestazioni di protesta passiva si associno la resistenza o la violenza contro chi tenta di far spostare la persona dalla strada (artt. 336 e 337 c.p.) ovvero un’interruzione di pubblico servizio (art. 340 c.p.), si può infatti richiamare l’articolo 1-bis del d.lgs. n. 66 del 1948, come modificato dal d.l. n 113 del 2018, a tenore del quale si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 1.000 a 4.000 euro a “chiunque impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendo la stessa con il proprio corpo” (stessa sanzione per promotori e organizzatori). Nei confronti invece di chi, “al fine di impedire od ostacolare la libera circolazione, depone o abbandona congegni o altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ordinaria o ferrata o comunque ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata”, si applica, ai sensi dell’art. 1 del medesimo decreto, la reclusione da uno a sei anni (pena raddoppiata se il fatto è commesso da più̀ persone, anche non riunite, o se è commesso usando violenza o minaccia alle persone o violenza sulle cose).
Sul versante della tutela di quadri e opere d’arte, può trovare applicazione il secondo comma dell’art. 518-duodecies c.p. (introdotto dalla legge n. 22 del 2022 in materia di “reati contro il patrimonio culturale”), che punisce con reclusione da sei mesi a tre anni e multa da 1.500 a 10.000 euro chiunque, senza che il bene sia distrutto, disperso, deteriorato o reso in tutto o in parte inservibile (si ricadrebbe in tal caso nella più severa ipotesi del primo comma), “deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui”.
Questa breve ricostruzione mette in luce come la combinazione tra l’istinto verso una pervasività del penale in ogni piega delle relazioni sociali, la pulsione emotiva e la fascinazione ancestrale verso la creazione di nuovi reati possa giocare brutti scherzi ai moderni punitores, finendo per prendere il sopravvento sulla preliminare considerazione dell’esistente e sulla serena disamina della realtà fattuale e legislativa; e spiega meglio di qualunque trattato come si (auto)alimenti – tra precomprensioni ermeneutiche errate e ricognizioni normative incomplete – la proliferazione di fattispecie penali simboliche e ineffettive, emanate sull’onda di una contingente emotività per placare l’opinione pubblica. In breve, ci esemplifica come nasce il panpenalismo.
Cristiano Cupelli
professore ordinario di diritto penale Università di Roma Tor Vergata
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