problemi di sistema
La rivoluzione culturale del ministro della Giustizia Carlo Nordio
Saremo una democrazia a sovranità limitata fin quando resteremo in ostaggio di una repubblica fondata sulla gogna. Perché sostenere la lotta di via Arenula contro i politici sonnambuli e i magistrati irresponsabili
C’è una ragione per cui Carlo Nordio promette di essere uno dei volti politici più interessanti dell’anno che si apre. Questa ragione non ha a che fare direttamente con l’incredibile mole di riforme promesse dal ministro della Giustizia, ma ha a che fare con una rivoluzione culturale che l’ex magistrato veneziano ha scelto di rivendicare con forza sfidando a singolar tenzone i suoi vecchi colleghi magistrati.
La rivoluzione, e usiamo questa parola non in modo retorico, coincide con la volontà di Nordio di spiegare, in ogni occasione possibile, la vera origine dello squilibrio profondo presente oggi nei rapporti tra potere giudiziario e potere politico: la presenza, in Italia, dice Nordio, di pubblici ministeri dotati di poteri straordinari che nessun altro magistrato al mondo ha; magistrati in grado di esercitare questi poteri in un contesto caratterizzato “dall’assenza di responsabilità in caso di mala gestione”.
Come capo della polizia giudiziaria, ha detto Nordio, il pm ha una reale autorità esecutiva, ma come magistrato gode delle garanzie dei giudici, e quindi è svincolato da quei controlli che, in ogni democrazia, accompagnano e limitano l’esercizio di un potere. La battaglia di Nordio contro i pieni poteri dei magistrati, contro la gogna, contro il circo mediatico-giudiziario, è significativa non solo perché a condurla è un ex magistrato ma anche per un’altra ragione: la volontà, da parte del ministro della Giustizia, di mettere sotto processo non la figura del magistrato, troppo semplice, ma la figura del politico sonnambulo, che un giorno si lamenta per lo strapotere dei magistrati e il giorno dopo offre ai magistrati strumenti per esercitare il potere in modo sempre più discrezionale.
Si trova qui, e non altrove, l’elemento di interesse del nordismo, per così dire, e il j’accuse messo in campo contro le norme che “difettano di tipicità e tassatività e che consentono l’inizio di indagini così discrezionali da essere arbitrarie, con perniciose invasioni della magistratura nell’amministrazione” e contro tre norme in particolare, abuso d’ufficio, traffico di influenze e concorso esterno in associazione mafiosa, fa impazzire di rabbia la magistratura più ideologizzata perché la costringe a fare i conti con uno specchio chiamato realtà. Una realtà all’interno della quale, grazie all’aiuto dei politici sonnambuli, negli ultimi vent’anni hanno potuto mettere insieme un circo mediatico-giudiziario grazie al quale le prove sono diventate un optional, grazie al quale i processi possono essere fatti sulla base di sospetti, grazie al quale gli indagati possono essere condannati senza rispettare la regola aurea dell’andare oltre ogni ragionevole dubbio.
È possibile che Nordio non riesca a combinare nulla di quanto ha promesso (e non si capisce, da questo punto di vista, come sia possibile che l’opposizione non comprenda che il modo migliore per mettere in difficoltà la maggioranza sia sfidare Nordio a fare quello che ha davvero promesso, non contrastare a priori le sue promesse garantiste).
Ma è impossibile non notare come il mirino del ministro sia proprio puntato lì: contro il circo mediatico-giudiziario, contro le armi offerte alla repubblica della gogna, contro un sistema di potere, quello dei magistrati, che può usare il suo potere discrezionale a piacimento, in modo arbitrario, senza dover rendere conto a nessuno, senza occuparsi di trovare prove schiaccianti, facendo semplicemente affidamento sulla forza del processo mediatico, sulla forza dello sputtanamento degli indagati attraverso le intercettazioni, sulla forza di norme vaghe, opache, indefinite, che permettono di trasformare un atto in crimine sulla base di un sospetto non supportato da fatti, giocando con l’uso eccessivo e strumentale delle intercettazioni, con la loro oculata selezione, con la diffusione pilotata dell’azione penale diventata arbitraria e quasi capricciosa, con l’adozione della custodia cautelare come strumento di pressione investigativa, con la consapevolezza che lo snaturamento dell’informazione di garanzia diventa condanna mediatica anticipata e persino strumento di estromissione degli avversari politici.
La rivoluzione di Nordio è quella di mostrare ai magistrati, ai pubblici ministeri, una verità che pochi magistrati in questi anni hanno avuto il coraggio di mettere nero su bianco: fino a quando sarà ostaggio di un sistema giudiziario costruito per distruggere la presunzione di innocenza, il nostro paese sarà una democrazia a sovranità limitata che non si limiterà a togliere libertà ai cittadini ma che farà l’opposto di quanto sostenuto in questi anni dalle vestali della giustizia: offendere la Costituzione, con la sua natura garantista, negli stessi istanti in cui, storpiandola, deformandola, calpestandola, si sostiene di volerla difendere.
La svolta di Nordio non sappiamo se avrà un suo riflesso nelle leggi, ma avere un ex magistrato deciso a combattere una repubblica fondata sulle procure, come quella italiana, dovrebbe spingere tutti coloro che hanno a cuore lo stato di diritto, oltre che la nostra Costituzione, ad aiutare il ministro della Giustizia a ricordare che il problema della giustizia in Italia non ha a che fare con le mele marce ma ha a che fare con l’albero e con un sistema in cui i veri pieni poteri non sono quelli che rivendicano i politici ma sono quelli che i politici hanno regalato ai magistrati. Forza Nordio.