Un fotogramma degli scontri tra tifosi del Napoli e della Roma (Ansa)

gogna all'italiana

Il Far West di pseudo tifosi sull'A1 è incivile, ma il rigurgito manettaro è peggio

Francesco Stocchi

Alla notizia di non convalida dei primi arresti, numerosi giornali hanno definito la notizia scandalosa, parlando di “manica larga” del giudice, di “cavilli che salvano gli ultras”. Un malcostume che porta a invocare punizioni esemplari per responsabilità penali ancora tutte da chiarire e che non ha mai prodotto grandi soluzioni

Domenica scorsa circa 300 facinorosi riconducenti alle tifoserie di Roma e Napoli se le sono date di santa ragione in mezzo a una corsia dell’A1, nei pressi dell’area di servizio di Badia al Pino (Arezzo). La presenza di coltelli, bastoni, bengala, picconi addirittura, fa pensare a un atto premeditato, se non addirittura concordato, tra due fazioni antagoniste che si fronteggiano regolarmente da oltre vent’anni. Chi governa, ricuce oppure esaspera questi dissapori? Chi è al comando di simpatie o rivalità tra due popoli di tifosi? Gli ultras, la minoranza loquace del tifo, che stanno alla tifoseria come i black bloc stanno ai manifestanti No global, o come i raver ai frequentatori di discoteche. Gruppi di persone che si portano al di fuori dei confini circoscritti fondendo i propri interessi con uno stile di vita che ne determina i comportamenti, le frequentazioni quotidiane, l’abbigliamento, i codici di linguaggio.

Ciò che accomuna questi gruppi così disparati fra loro che fanno di atteggiamenti estremi, spesso delinquenziali, la cifra identitaria di un’aderenza totalizzante alla “causa”, è una rivendicazione di sfogo contro le evoluzioni (qui viste come involuzioni) moderne della società. Dei nostalgici arrabbiati la cui dinamica di gruppo conferisce status di tribù organizzate. Sottoculture, difficilmente penetrabili se non si viveva l’esperienza in presa diretta, che con l’avvento della comunicazione digitale, dei social media si trovano in una nuova fase identitaria.

 

I fatti criminali di domenica scorsa non solo sono stati teatro di un regolamento di conti interno ma hanno anche messo a repentaglio la sicurezza dei viaggiatori, bloccando una delle principali arterie del paese. Fatti sicuramente inaccettabili ma la gestione dell’episodio e le relative reazioni sulla stampa aprono a due considerazioni. Alla notizia di non convalida dei primi arresti, numerosi giornali hanno definito la notizia scandalosa, parlando di “manica larga” del giudice, di “cavilli che salvano gli ultras”. La tendenza giustizialista di “sbattere il mostro in prima pagina” come si suol dire, così cara agli organi di stampa nostrani, ha forse fatto vendere qualche copia in più ma di rado ha prodotto buoni risultati.

 

Successe con Tortora, con Amanda Knox e con numerosi altri imputati che hanno dovuto difendersi prima dall’opinione pubblica che dalla magistratura. Un malcostume che porta a invocare punizioni esemplari per responsabilità penali ancora tutte da chiarire. Lorenzo Contucci, avvocato di difesa, ci dice che “si confondono i cavilli con la Costituzione, in realtà mancavano i criteri di urgenza e impossibilità di effettuare l’arresto sul posto. Non è la polizia ma solo il giudice che può limitare la libertà di una persona”. Le indagini andranno avanti, i responsabili, la maggior parte dei quali già noti alle forze dell’ordine, verranno indagati e perseguiti come è doveroso che avvenga in un stato di diritto. Quello che si dovrebbe evitare in caso di disastro ricorrente è la consueta ricerca del capro espiatorio.

La seconda riflessione riguarda una non adeguata gestione dell’ordine pubblico che avrebbe invece impedito un evento prevedibile. La presenza di 6-8 agenti della Stradale e la decisione sbagliata di bloccare le uscite dell’autostrada, fermando i napoletani alla stazione di servizio in attesa del passaggio dei romanisti si è dimostrata scellerata. Oggi si riunisce l’Osservatorio per le manifestazioni sportive del Viminale. Si prevedono misure restrittive esemplari, anche repressive ma sono misure che denotano una tale difficoltà di gestione delle manifestazioni pubbliche fino a impedirle. Come nel caso della tragica morte in piazza a Torino in occasione di una finale trasmessa sui megaschermi. La soluzione fu impedire i raduni in piazza, piuttosto che ammettere delle falle organizzative e prendersi carico delle responsabilità organizzative di gestione di flussi di persone. Sarebbe semplice gestire l’ordine pubblico con un pizzico di pragmatismo, invece si preferisce abdicare, o almeno così sembra.
 

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