I carabinieri in azione durante l'arresto di Mattia Messina Denaro (Ansa)

dopo l'arresto di Messina denaro

Le frasi avventate di Claise, giudice del Qatargate, sulla mafia offendono l'Italia e la realtà

Luciano Capone

Per il pm belga mezza economia italiana, e quindi mezza società, è in mano ai mafiosi. Un'affermazione insultante che non ha alcun riscontro nei numeri e che si accompagna ad altre letture approssimative, surreali, sulla lotta alla criminalità. Intanto Panzeri ha iniziato a collaborare con la procura
 

Lunedì l’attenzione era tutta rivolta, giustamente, alla fine della latitanza di Matteo Messina Denaro. Ma lo stesso giorno dell’arresto del boss di Cosa nostra, il Fatto quotidiano ha pubblicato un’intervista rilasciata al giornale francese Mediapart dal giudice belga Michel Claise, in cui il pm dell’inchiesta sul Qatargate che ha sconvolto il Parlamento europeo si è lasciato andare ad affermazioni sull’Italia e sulla mafia a dir poco avventate.

 

L’intervista non è sfuggita all’Istituto Bruno Leoni, secondo cui le parole di Claise “semplicemente non stanno né in cielo né in terra”. A far sobbalzare il think tank liberale è stata l’affermazione del magistrato belga secondo cui “in Italia, mafie ricchissime stanno comprando una dopo l’altra tutte le aziende che stanno fallendo: il 50 per cento dell’economia è nelle mani di mafie come Ndrangheta e Cosa Nostra”. Per l’Istituto Bruno Leoni “fare una simile affermazione significa non avere la minima contezza dei numeri né delle evidenze”. Perché il pil dell’Italia è circa 1.800 miliardi di euro, includendo anche l’economia non osservata (pari al 10,5 per cento) di cui, a sua volta, fanno parte le attività illegali (1 per cento). Entrambi i dati, economia non osservata e illegale, secondo l’Istat sono in calo. Ebbene, la metà del pil italiano è 900 miliardi, più del pil di Belgio e Austria messi assieme. Ed è pari alla spesa pubblica. “Se prese sul serio, le dichiarazioni del magistrato belga sembrerebbero implicare che l’intera economia privata (oppure, a scelta, quella pubblica) nel nostro paese è in mano alle mafie”, nota il Bruno Leoni.

 

L’idea che mezza economia italiana, e quindi mezza società, sia fatta di mafiosi è insultante per gli italiani. Perché offende la realtà. Si tratta di numeri sballati, dato che la Commissione europea stima il giro d’affari delle organizzazioni criminali in tutta Ue tra 92 e 188 miliardi, mentre per la sola Italia si parla dell’1 per cento del pil (un cinquantesimo del dato pescato chissà dove e come da Claise). Ma nella stessa intervista il magistrato belga ha fatto altre affermazioni bizzarre. Ad esempio Claise ha detto che per contrastare il narcotraffico bisogna punire i “consumatori benestanti” di cocaina che “arricchiscono le organizzazioni criminali”.

Ed ecco la soluzione, semplice semplice: “Perché non immaginare, nel caso delle droghe pesanti, di considerare che anche chi consuma è parte della rete criminale? E’ una soluzione che può scioccare, ma alla fine il modo migliore per combattere la pedopornografia è stato incriminare i clienti”. Sono dichiarazioni che ormai non si ascoltano neppure al bar davanti a un bianchetto. A partire dal paragone tra consumo di stupefacenti e pedopornografia. Se si dovessero punire come appartenenti alla mafia i consumatori di stupefacenti servirebbero posti nelle carceri per milioni e milioni di persone. Attualmente in Italia, in un sistema penitenziario con una capienza di 51 mila posti, sono detenute 56 mila persone di cui, tra l’altro, circa un quarto tossicodipendenti (normalmente puniti per spaccio). E poi perché solo le droghe pesanti? Se bisogna punire penalmente chiunque dia soldi alla criminalità non ha alcun senso fare una distinzione con le droghe leggere. Ma se si persegue un tossicodipendente, solo perché a causa della sua dipendenza finanzia le mafie, secondo lo stesso principio bisognerebbe punire anche chi è costretto a pagare il pizzo, le vittime di usura, le donne sfruttate attraverso la prostituzione. Vittime e carnefici pari sono: tutti mafiosi.

 

La cosa surreale è che Claise fa affermazioni approssimative anche quando discute di cose che dovrebbe conoscere meglio. Sempre nella stessa intervista, parlando del narcotraffico nel suo paese, il giudice dice che “Nel solo porto di Anversa, in Belgio, la cocaina rappresenta dal 10 per cento al 12 per cento del totale annuo delle importazioni”. Nel 2022 il porto di Anversa ha registrato il record di sequestri di cocaina: 110 tonnellate. Ma Anversa è tra i 15 porti più grandi del mondo e nel 2022 ha mobilitato 240 milioni di tonnellate. Se si considerano solo le importazioni, pari a 117 milioni di tonnellate di merci, i sequestri di cocaina rappresentano lo 0,00009 per cento. Se anche si ipotizza che solo l’1 per cento del narcotraffico viene intercettato, la cocaina sarebbe pari allo 0,009 per cento dell’import totali. Comunque oltre mille volte meno del 10-12 per cento indicato dal giudice belga. Un’affermazione totalmente fuori scala. Non si sa se Claise adotti lo stesso senso della misura nelle indagini. E’ notizia di ieri che Antonio Panzeri – il fulcro dell’inchiesta sulla corruzione al Parlamento europeo – ha ammesso le sue responsabilità e iniziato a collaborare con la procura. Ma la superficialità delle dichiarazioni e la faciloneria delle soluzioni del giudice belga inducono a mantenere un approccio garantista sulle altre persone a vario titolo coinvolte nel Qatargate e già indistintamente condannate sui media.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali