Sciocchezze senza vergogna

Gli ospiti sbrigliati di La7 danno dei "mafiosi" pure ai professori Lupo e Fiandaca

Luciano Capone

Ad "Atlantide" Saverio Lodato, co-autore di Nino Di Matteo, indica i due insigni studiosi come emblemi della "borghesia mafiosa" che ha protetto Matteo Messina Denaro (con il silenzioso assenso del pm lì presente). Uno dei punti più bassi e miserabili toccati da una certa "antimafia"

Si può, in prima serata sulla tv nazionale, definire “mafiosi” due studiosi, riconosciuti fra i più autorevoli nel proprio campo, solo per aver criticato una certa antimafia? E può un magistrato e componente del Csm che ascolta una stupidaggine del genere starsene in silenzio legittimandola? È il trattamento subìto ad Atlantide su La7 dagli assenti Giovanni Fiandaca e Salvatore Lupo, rispettivamente professore di Diritto penale e di Storia contemporanea all’Università di Palermo, per opera del giornalista Saverio Lodato e del silente Nino Di Matteo, pm della cosiddetta trattativa stato-mafia.

 

L’arresto di Matteo Messina Denaro ha aperto la legittima discussione sulle coperture che hanno consentito al boss di vivere in latitanza per trent’anni. Si è parlato molto, il primo a farlo è stato il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, della “borghesia mafiosa” che ha garantito a “U siccu” gli appoggi per eludere la cattura così a lungo. Ma a fianco a queste logiche considerazioni sono fioccate teorie del complotto e anche alcuni deliri, come quelli espressi nel programma di Andrea Purgatori.

 

Lodato, coautore di libri sulla mafia con Di Matteo, afferma che la “borghesia mafiosa” che aiuta i boss non è fatta solo da “medici, infermieri, portantini qualche impiegato di banca” ma anche e soprattutto “da cervelli nel campo culturale e universitario”. E fa due esempi: “Di Matteo è stato considerato da fior di intellettuali di questa città l’autore di una ‘boiata pazzesca’”. E poi cita “storici di grido che dicevano che è una leggenda metropolitana il fatto che gli americani nel 1943 quando sbarcarono in Sicilia si rivolsero alla mafia e a Lucky Luciano”. Ecco: questa “è la borghesia mafiosa” dice Lodato, con Di Matteo che annuisce.

 

Gli identikit sono chiari: il primo è Fiandaca, un’autorità del diritto penale, autore di un saggio critico dell’inchiesta di Di Matteo ripubblicato nel 2013 sul Foglio col titolo “Il processo sulla Trattativa è una boiata pazzesca”. L’altro è Lupo, forse il più importante storico della mafia, autore di libri in cui, consultando gli archivi americani, sfata la leggenda della collaborazione tra Stati Uniti e Cosa nostra nell’operazione Husky.

 

Il riferimento ai due è inequivocabile. Perché il noto saggio di Fiandaca ha fatto discutere per anni (e per giunta le sentenze gli hanno dato ragione) e perché Lodato e Di Matteo in un libro a quattro mani si sono già espressi sulle tesi storiche di Lupo “una chiave di lettura negazionista, anche a costo di rischiare il ridicolo”. Quindi è evidente a chi Lodato si riferisse e che Di Matteo abbia perfettamente inteso, anche perché in passato fu lui a definire pubblicamente “cattivi maestri” i due docenti. 

 

Ma se è grave l’accusa diffamatoria di Lodato, seppure si tratti di un giornalista abituato all’irrealtà dato che scrive su un giornale come Antimafia Duemila, diretto da Giorgio Bongiovanni, uno che sostiene di avere le stimmate e di essere in contatto con gli alieni (recentemente ha rivelato che gli extraterrestri hanno ordinato a Putin di evitare la guerra nucleare: “Mi può costare la vita, ma mi hanno autorizzato a dirlo”), a sconcertare di più è il comportamento di un magistrato come Di Matteo.

 

Legittimare la demolizione morale di due riconosciuti intellettuali, definiti con disprezzo della verità “mafiosi” solo per avere espresso opinioni critiche, è la negazione dei princìpi di una democrazia civile. Ed è soprattutto un comportamento miserabile.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali