autodafè politico
Cozzolino e la ritirata codarda del Pd di fronte alla cultura del sospetto
Per ora contro di lui solo illazioni. Ma l’eurodeputato del Qatargate viene disconosciuto dai suoi. Il primo febbario in Commissione a Strasburgo tutti pronti a votare la revoca dell’immunità. È il giustizialismo masochista del partito e l'ennesimo test fallito di garanzie
Andrea Cozzolino? Chi era costui? Tra i compagni del Pd l’eurodeputato del Qatargate è un carneade da disconoscere, con ipocrisia ben più cinica di quella di Don Abbondio. Le tre legislature a Bruxelles, la militanza lunga una generazione, che va senza soluzione di continuità da Botteghe oscure al Nazareno, non bastano a sottrarlo a un autodafè politico che precede gli stessi esiti dell’inchiesta giudiziaria. E lo brucia in un rogo di censure e silenzi. È il giustizialismo masochista di un partito che ha già immolato vittime sacrificali (da Penati a Del Turco).
Perciò la seduta della Commissione Juri di Strasburgo vedrà martedì mattina, primo febbario, i parlamentari democratici allineati a votare la revoca dell’immunità del collega. Lo ha chiesto anche lui, qualche giorno fa in audizione, rinunciando con orgoglio allo scudo. E loro lo accontentano. Nessuna difesa. Nessuna solidarietà. A Strasburgo e Bruxelles come a Roma e Napoli. Da Enrico Letta all’ultimo consigliere campano solo girate di spalle o attacchi espliciti, come quello del vicesegretario Peppe Provenzano. C’è da giurare che da qui al voto finale dell’assemblea plenaria, giovedì, nessuna voce si leverà contro lo sbraco di un Parlamento europeo pronto a mettere Cozzolino nelle mani del suo inquisitore, l’investigating judge, Michel Claise. Che ha rifiutato di interrogarlo e che, nel sistema inquisitorio belga, può arrestarlo senza chiedere l’autorizzazione di alcuna autorità terza.
Ma di che cosa è accusato Cozzolino? Nella richiesta del magistrato al Parlamento ci sono le illazioni dei due protagonisti del Qatargate, l’ex eurodeputato Antonio Panzeri e l’assistente parlamentare Francesco Giorgi.
Il primo dice a verbale: Cozzolino ha fatto favori al Marocco in quanto capo della delegazione parlamentare del Maghreb, ma non ho le prove.
Il secondo aggiunge: ho il sospetto che Cozzolino fosse indirettamente coinvolto.
In una democrazia liberale due chiamate in correità così generiche non basterebbero neanche a giustificare un avviso di garanzia. In Belgio possono dischiudere le porte del carcere. Poi, certo, Panzeri sta continuando a parlare, dopo aver patteggiato con la magistratura la pena di un anno di carcere, che vuol dire qualche mese in cella e il resto con il braccialetto elettronico, e la confisca di un milione di euro, 650 mila del quale corrispondono al denaro sequestrato nella valigia, scomputato come una sorta di guadagno del reato.
Se un procuratore grazia l’unico imputato per il quale ha raggiunto la prova della corruzione, lo fa perché scommette sul risultato maggiore che può derivare dalle sue delazioni. A sua volta se un imputato scambia, per contratto, sconti di pena con accuse, lo fa per evitare dieci anni di carcere, una confisca maggiore e l’arresto della figlia. E’ ancora un testimone attendibile? Voi prendereste per oro colato quello che Panzeri sta raccontando a Michel Claise? La legge sul pentitismo è un prodotto di esportazione italiana. Il parlamento belga l’ha approvata dopo aver audito in commissione diversi magistrati nostrani. Sdogana il contratto di delazione in maniera ancora più esplicita di quanto non accada da noi, realizzando nella piccola monarchia federale il “vorrei ma non posso” dell’Antimafia militante. Il Parlamento europeo, che ha già deciso di votare la revoca di immunità prima di leggere le carte del magistrato, non conosce il contenuto degli ultimi interrogatori. Conosce invece le ragioni di Cozzolino, che in audizione di fronte alla Commissione Juri ha giurato di non aver mai ricevuto somme di denaro, né direttamente né indirettamente, né in contanti né con transazioni finanziarie per sé e per qualsivoglia organizzazione a lui collegata. E ha ricordato di aver votato a favore della mozione che stigmatizza la condotta del Qatar sui diritti umani e sulle garanzie del lavoro connesse ai Mondiali di calcio. Quanto all’appello a rigettare quella mozione, partito dal suo indirizzo di posta elettronica, Cozzolino ne ha disconosciuto la paternità, attribuendola invece al suo assistente Francesco Giorgi, il quale avrebbe agito in totale autonomia e senza il suo preventivo assenso, come purtroppo è consuetudine delle relazioni parlamentari.
Se non fosse vero, perché Cozzolino avrebbe dovuto votare contro il Qatar? La sortita di Giorgi era stata da lui denunciata ai parlamentari del gruppo del Pd, gli stessi che Cozzolino ha tratto d’impaccio, dichiarando di voler rinunciare all’immunità. Gli stessi che avrebbero potuto e dovuto respingere la sua richiesta, alzando lo scudo della politica di fronte alle congetture di un’inchiesta che nasce da un’imbeccata dei servizi segreti arabi, e che non ha al momento l’evidenza di alcuna prova attendibile. E’ accaduto il contrario. Cozzolino è stato rinnegato dai compagni di una vita e consegnato alla gogna di una comunicazione pubblica che lo ha già condannato, secondo il desolante costume dei tempi. Se c’è un fotogramma che racconta da solo la crisi della democrazia è quello che ritrae la ritirata codarda della politica di fronte al sospetto, da sempre arma di ogni inquisizione e regime autoritario.