"Dal carcere c'è una visuale sul mare stupenda": condannati i pm che minacciarono i testimoni
Condannati in via definitiva i due ex pm della procura di Trani, Michele Ruggiero (6 mesi di reclusione) e Alessandro Pesce (4 mesi), per tentata violenza privata. Entrambi continuano a svolgere la loro funzione a Bari: il Csm interverrà?
Sono diventate definitive le sentenze di condanna nei confronti dei due ex pubblici ministeri di Trani, Michele Ruggiero e Alessandro Pesce, rispettivamente alla pena di sei mesi e quattro mesi per concorso in tentata violenza privata. I due magistrati, attualmente in servizio alla procura di Bari, sono stati condannati per aver minacciato durante un interrogatorio alcuni testimoni per spingerli ad ammettere di aver pagato tangenti a un imputato nell’inchiesta “Sistema Trani”. Entrambi erano stati condannati sia in primo grado che in appello nel 2021. Venerdì la quinta sezione penale della corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile i ricorsi degli imputati, confermando così la condanna d’appello, diventata definitiva.
Ruggiero è stato per anni il simbolo della procura di Trani, per le clamorose inchieste finite sulle prime pagine dei giornali, ma terminate tutte con archiviazioni e assoluzioni: quella sui presunti complotti contro l’Italia da parte delle agenzie di rating, quella contro Deutsche Bank per la vendita dei titoli di stato italiani nel 2011, quella sulle presunte pressioni dell’ex premier Silvio Berlusconi al commissario Agcom Giancarlo Innocenzi per la chiusura di Annozero, quella contro cinque ex dirigenti di American Express per truffa ed usura, fino ad arrivare all’inchiesta sul presunto legame tra vaccino e autismo. Tutti procedimenti finiti con un nulla di fatto.
La condanna definitiva per tentata violenza privata nei confronti di testimoni costituisce una sentenza gravissima per i due pubblici ministeri, chiamati a condurre le indagini nel rispetto della legge. Alcuni passaggi degli interrogatori tenuti da Ruggiero e Pesce, citati nelle motivazioni della condanna d’appello, fanno rabbrividire. All’inizio di un interrogatorio, ad esempio, Ruggiero si rivolgeva a un testimone con queste parole: “Lei…sta già con un piede nella fosse perché qualcuno… magari… adesso ci mette tutti e due… perché quello che sta fuori, il suo dipendente (…) lui ci ha già dato delle informazioni che contraddicono quello che sta dicendo lei adesso”. Pesce interveniva: “E’ già rovinata. La sua azienda… adesso… come sta… da qui… eh avrà un provvedimento di interdizione a partecipare agli appalti”. Ruggiero: “Subito”. Sempre Pesce aggiungeva: “Qui gli elementi per procedere e per sequestrare tutto quello che è sequestrabile ce ne sono a bizzeffe… il collega ha fin troppa pazienza, perché io l’avrei già sbattuta fuori, ma in manette, di qua…”.
Ancor più inquietanti le parole espresse da Ruggiero: “Noi le vogliamo così bene che vogliamo farla tornare a Trani dentro… perché… guardi che meraviglia, guardi… guardi qui… lei la conosceva la città di Trani? E’ bellissima… guardi dal carcere di Trani c’è una visuale sul mare stupenda; e secondo me a lei col problema che c’ha le fa pure bene stare un po’ tranquillo… secondo me… è diciamo… la fase della vita nella quale bisogna un attimo rilassarsi… cominciare un po’ a pregare… a farsi un esame di coscienza… pensare ai nipotini…”. I due pm in più occasioni ripetevano: “Scegliete da che parte stare… o siete vittime o siete correi”. Senza neanche avvisare le persone di essere indagate, di poter nominare un legale, di avvalersi della facoltà di non rispondere.
Ora la condanna è diventata definitiva e c’è da aspettarsi (e da sperare) che il Csm nei confronti dei due magistrati adotti i dovuti provvedimenti disciplinari.
Come se non bastasse, Ruggiero è anche stato rinviato a giudizio in altri due processi per violenza privata e falso in atto pubblico, con l’accusa di aver falsificato i verbali di alcuni testimoni in un caso, e di aver falsificato i verbali e minacciato altri testimoni in un altro. Una situazione paradossale, perché Ruggiero intanto potrà continuare a svolgere il suo lavoro, a differenza dei politici da lui indagati nel corso del tempo e costretti alle dimissioni in virtù del pericolo di reiterazione del reato. Un pericolo che, appunto, non sembra valere per le toghe.