Il grave errore di criticare il 41-bis solo quando conviene

Luciano Capone

Dal caso Cospito a Bernardo Provenzano e in prospettiva Matteo Messina Denaro, ipocrisie e convenienze di chi sul carcere duro evoca princìpi assoluti come diritti umani e stato di diritto, ma a corrente alternata 

Il moto di solidarietà da parte di politici e intellettuali nei confronti di Alfredo Cospito pone il tema di una riflessione seria e non estemporanea sul 41-bis e i suoi limiti. Ci sono tre piani di discussione. Il primo è politico: l’abolizione tout court del cosiddetto “carcere duro”, che è esattamente l’obiettivo per cui Cospito è in sciopero della fame da circa 100 giorni: “Non è una battaglia per la mia liberazione ma contro il regime del carcere duro”, ha detto l’anarchico condannato per la gambizzazione di un dirigente di Ansaldo e per un attentato esplosivo a una caserma. Ma nessuno, a parte le sigle anarchiche, sembra voler perseguire questo obiettivo. Il secondo piano è di tipo giudiziario, di chi cioè ritiene sbagliata la decisione dei tribunali italiani di aver messo Cospito al 41-bis. Su questo le opinioni sono più differenziate.

 

Ma il piano su cui il consenso è più largo è il terzo, quello umanitario: a prescindere da cosa Cospito pensi del 41-bis, indipendentemente dal fatto che sia stato giusta o meno la decisione dei giudici, quel regime è ora incompatibile con il suo stato di salute. Questo tema, quello del rispetto dei diritti umani e di un bene supremo come quello della vita, coinvolge il governo al di là della sua linea “dura” sul 41-bis e della volontà di non voler “scendere a patti” i protagonisti delle manifestazioni violente e degli attentati dei giorni scorsi. Interroga la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che nel suo discorso d’insediamento alla Camera aveva definito l’elevato numero di suicidi in carcere come “non degno di una nazione civile”. E interroga il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che negli anni ha sempre espresso posizioni garantiste e rispettose della dignità umana dei detenuti.

 

Ma è questo un tema che dovrebbe interrogare più a fondo anche le opposizioni e chi, con più facilità che in passato, ha sposato la battaglia del caso Cospito contro l’inutile crudeltà del 41-bis. Un caso emblematico è quello di Andrea Orlando del Pd, che è andato a Sassari a visitare in carcere il detenuto in sciopero della fame e che ha rilasciato dichiarazioni nette sul tema: “Lo stato non deve avere né la linea dura né la linea morbida. Deve applicare le leggi e salvare la vita di una persona a rischio” ha detto. E ancora: “Legare il 41-bis a una sorta di ritorsione significa fare il gioco di chi nega alla radice l’esistenza dello stato di diritto”.

 

Il ragionamento è pienamente condivisibile, se non per il fatto che da ministro della Giustizia Orlando si è comportato all’esatto opposto. Nel 2016, quando Bernardo Provenzano era un vecchio malato, ormai totalmente demente e incapace a farsi comprendere, l’allora guardasigilli Orlando prorogò il 41-bis per il boss. Nonostante il parere contrario di tre procure, secondo cui il carcere duro non era più necessario. Alla fine Provenzano crepò al 41-bis e, dopo la sua morte, l’Italia venne condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’art. 3 (divieto di tortura e di trattamenti disumani e degradanti). Quella violazione dello stato di diritto fu una scelta consapevolmente perseguita, perché la preoccupazione principale del ministro e del governo Renzi era tutelarsi dagli attacchi che sarebbero piovuti per un “favore” alla mafia, magari evocando chissà quale misteriosa “trattativa”.

 

Ora per Orlando è molto più semplice prendere le parti di Cospito, sia perché lui non è più ministro sia perché il detenuto è un anarchico e non un mafioso. Ma se come sostiene un altro esponente dem, il vicesegretario uscente Peppe Provenzano, “la revoca del 41-bis a Cospito è invocata non in nome delle sue idee, o delle proteste degli anarchici. Ma in nome dello Stato di diritto, della Costituzione”, il Pd dovrebbe prepararsi a essere più conseguente e meno ipocrita nell’evocazione di principi assoluti. Non solo rispetto al passato, come nel caso di Bernardo Provenzano, ma anche rispetto al futuro. Perché presto potrebbe porsi lo stesso problema di incompatibilità con il carcere duro, se è vero che è gravemente malato, anche per Matteo Messina Denaro. Sarà chi oggi si batte per Cospito in grado di sostenere la stessa posizione per il boss di Cosa nostra?

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali