Ansa

Voyeurismo giudiziario

Le intercettazioni sono pura pornografia che fa finire la tua vita su un nastro

Chiara Lalli

La differenza sta nei modi e negli usi, nella facilità con cui migliaia di ore di vite esondano dalle indagini per diventare costume, divertimento macabro. Possibile che non siamo capaci di coglierne la mostruosità?

Dove andiamo a pranzo, chi viene a prenderti, devo preparare l’esame, lo sai che Mario ha lasciato Giovanna? Mario e Giovanni sono nomi che ho inventato anche se sono passati moltissimi anni e anche se non si sono detti niente che non abbiamo detto anche noi mille volte. Che c’è di male? Tutto. Perché di questi amici, fratelli e fidanzati ho saputo ascoltando le intercettazioni telefoniche di un vecchio caso giudiziario. A rendere ancora più insopportabile e pornografico l’ascolto si aggiunga il fatto che Mario e Giovanni io li conoscevo. Ci siamo tutti schifati (spero) guardando le vite degli altri ma poi ce ne dimentichiamo e quando qualcuno suggerisce di essere prudenti nel mettere cimici in giro per case e linee telefoniche la reazione è spesso “ma allora volete facilitare la vita dei criminali?”. Forse serve la giusta fotografia e una colonna sonora commovente per capire l’oscenità e l’invadenza di questo strumento. Forse serve finirci dentro, desolante e avvilente forma di identitarismo. Ma possibile che non siamo capaci, diciamo così, astrattamente di capire la mostruosità di entrare nelle vite altrui?

 

Se la giustificazione è il crimine di cui si cerca il responsabile, tutto scolora, tutto perde importanza. Rispetto a un omicidio niente conta e niente importa, tutto è meno grave ma ecco così non vale. E poi questa ingiustificabile pornografia travolge anche i morti. Sì, certo, è per una buona causa, è per trovare i colpevoli, ma la differenza sta nei modi e negli usi, nell’accortezza e nei limiti, nella facilità che quelle migliaia di ore di vite esondino dalle indagini per diventare costume, divertimento macabro, un mezzo per pensarci migliori. Durante quell’orrido ascolto e alla ricerca di pezzi di conversazione “penalmente rilevanti” ho fatto in tempo a pensare cento volte che non volevo più sentirle, mi sono imbarazzata, vergognata, ho fermato, mi sono alzata per farmi un caffè, mi è venuta la gastrite. Ho pensato alle mie conversazioni, a quelle che ricordo e a quelle che non ricordo, che sono ovviamente la maggior parte. Alle domande che qualcuno potrebbe farmi “lei ha detto che?” “Io?, figuriamoci!”, per poi dimostrarmi che certo che lo avevo detto, mille volte, lo vedi che menti?

 

L’altro giorno c’era un pezzo spaventosissimo sul New York Times sulle false confessioni e lo so che è un’altra cosa ma in comune c’è la fragilità delle nostre parole, del contesto e della capacità di comprensione. Se pubblicassero le nostre conversazioni private saremmo tutti evidentemente assassini seriali. Qualche giorno fa c’è stata una audizione in Senato sulle intercettazioni e c’è una parte della relazione di Francesco Morelli, che è professore di diritto processuale penale all’Università di Bergamo, che mi ha particolarmente angosciato e che riguarda l’accessibilità al materiale registrato. Alla fine delle indagini i difensori accedono alle registrazioni in procura e non possono averne una copia. Che cosa significa? Quanto ci vorrebbe per ascoltare le intercettazione di una utenza telefonica per un mese? Se prendiamo gennaio, fanno 744 ore. È raro che ci sia un solo intercettato e quelle ore aumentano fino a perdere significato (1.488, 5.952, numeri a caso). Perché la difesa non sarà quasi mai nelle condizioni di ascoltare tutto – il quasi vale per un solo intercettato per un paio di giorni.

 

La conclusione è abbastanza spaventosa: c’è un diritto formale alla difesa, scrive Morelli, che è “materialmente impossibile da esercitare per ragioni attinenti non al diritto ma allo scorrere del tempo”. Insomma la tua vita finisce in un nastro o in un file, quelle registrazioni saranno ascoltate solo parzialmente dai tuoi avvocati, dal giudice, da tutti gli altri. E se basta un ragionevole dubbio sulla tua colpevolezza, molto probabilmente nessuno lo sentirà mai perché è sommerso da centinaia di ore di pranzi da organizzare, esami da fare, appuntamenti da rimandare. Questo nonostante la sentenza della Corte costituzionale del 2008 sul procedimento cautelare e alcuni articoli della Costituzione. Forse l’unico punto dove non ti viene voglia di scappare in un paese senza estradizione è il riferimento di Morelli all’archivio riservato. Che deve essere ripensato e che potrebbe essere, se ben disciplinato, un modo per tutelare le persone, le procedure processuali e quei princìpi costituzionali che esistono che vengono ignorati o sacrificati con scuse e risposte sbagliate.

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