Il giudice Marco Tremolada (foto Ansa)

Chi è Marco Tremolada, la toga che ha demolito i processi Eni-Nigeria e Ruby ter

Ermes Antonucci

Scrupoloso, integerrimo, riservato. Impenetrabile. Così viene definito, da chi lo conosce, il giudice che ha presieduto il collegio giudicante che ha assolto Berlusconi nel processo Ruby ter e ancor prima gli imputati del processo Eni-Nigeria

Scrupoloso, integerrimo, estremamente riservato. Impenetrabile. Così viene definito, da chi lo conosce da tanti anni, Marco Tremolada, il giudice che ha presieduto il collegio giudicante che mercoledì ha assolto Silvio Berlusconi e altri 28 imputati nel processo Ruby ter. Negli ultimi tempi il nome del magistrato è circolato molto sui giornali: fu sempre Tremolada infatti a presiedere il collegio giudicante del tribunale di Milano che, nel marzo 2021, assolse tutti i quindici imputati coinvolti in quello che per l’accusa avrebbe dovuto rappresentare il “processo del secolo”: quello sulla presunta corruzione internazionale da un miliardo di dollari compiuta da Eni in Nigeria. Il destino ha voluto che sia stato lo stesso Tremolada a presiedere il collegio giudicante del Ruby ter, e a smontare clamorosamente il castello accusatorio dei pm contro Berlusconi. Ma chi è Tremolada? Su di lui non esiste nulla. Non ci sono articoli. Non ci sono interviste. Nessuno ha mai ricostruito la sua storia. E’ quasi una missione per detective.

 

Nato a Milano nel 1962 in una famiglia borghese, Tremolada si è formato all’istituto dei gesuiti Leone XIII, per poi laurearsi in giurisprudenza all’università di Milano. E’ sposato con una giudice civile, ha tre figli. Ha cominciato la sua carriera di magistrato svolgendo le funzioni di pm a Enna, per poi diventare giudice e tornare a Milano, dove si è fatto strada, fino a diventare presidente della settima sezione penale. “E’ un magistrato preparatissimo dal punto di vista tecnico-giuridico, molto rigoroso sul piano professionale e scrupoloso nello studio dei procedimenti”, racconta un’importante toga milanese, che aggiunge: “E’ attentissimo all’organizzazione del lavoro e inoltre non si lascia condizionare dalle pressioni dovute alla notorietà delle vicende di cui si occupa. Soprattutto, è noto per il suo carattere estremamente riservato”.

 

Un avvocato penalista che da oltre trent’anni frequenta il palazzo di giustizia milanese conferma: “Pur avendo avuto con lui soltanto rapporti di tipo professionale, posso confermare che si tratta di un magistrato integerrimo. E’ percepito da tutto il mondo forense come una persona seria, scrupolosa, riservata. E’ impenetrabile”. Ma nella sua vita non c’è solo la giustizia: “E’ molto sportivo, è un bravo tennista, ama la montagna”, riferisce un magistrato. Viene chiamato “occhi di ghiaccio” per i suoi occhi azzurri chiari, capaci – si narra – di affascinare anche diverse colleghe e avvocate.

 

Allergico ai riflettori, Tremolada nel corso della sua carriera non ha mai rilasciato interviste. Proprio la capacità di resistere alle pressioni dovute al circo mediatico-giudiziario ha permesso al magistrato di assumere decisioni che hanno demolito due importanti inchieste dei pm che hanno fatto il giro del mondo, come Eni-Nigeria e Ruby ter. Nel processo contro Berlusconi, è stata un’ordinanza adottata dal collegio giudicante presieduta da Tremolada a dichiarare “inutilizzabili” le dichiarazioni delle ragazze ospiti delle cene ad Arcore, rilasciate nei processi Ruby 1 e Ruby 2, in quanto le giovani avrebbero dovuto essere sentite non come testimoni ma come indagate. Un’ordinanza fondamentale ai fini della sentenza di assoluzione pronunciata mercoledì.

 

Ma il coraggio nelle decisioni comporta anche un prezzo. Più fonti riferiscono al Foglio il profondo dolore provato da Tremolada per le vicende connesse al processo Eni-Nigeria. Durante il dibattimento, i pm titolari dell’indagine, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, cercarono (invano) di convocare in aula il discusso avvocato Piero Amara per fargli riferire dell’esistenza di presunte “interferenze delle difese Eni” sul giudice Tremolada. Non solo. A pochi giorni dalla pronuncia della sentenza, l’allora capo della procura milanese, Francesco Greco, insieme all’aggiunto Laura Pedio, trasmisero le dichiarazioni di Amara ai colleghi di Brescia (competenti sui magistrati di Milano), i quali aprirono un’inchiesta, poi archiviata in virtù dell’inattendibilità di Amara. Atti gravissimi, attraverso cui la procura tentò di mettere in dubbio il carattere di terzietà del collegio giudicante, soprattutto di Tremolada. “La vicenda lo ha ferito moltissimo, perché ha costituito un’offesa profonda alla sua persona”, racconta una fonte a lui vicina.

 

Il magistrato, comunque, non è tipo da buttarsi giù. Lo dimostra la sentenza sul Ruby ter pronunciata mercoledì, insieme ai suoi due colleghi di collegio. In nome delle regole dello stato di diritto.