I tempi infiniti della giustizia
Dopo quindici anni di processo, ecco la confisca dei beni di Ciancimino. Che però "non è più pericoloso"
Mentre veniva elogiato come una "quasi icona dell'antimafia", il figlio di don Vito nascondeva della dinamite nel giardino di casa e calunniava l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro. La storia di un'inchiesta infinita che rivela il perverso rapporto fra mafia e politica in Sicilia
Sarà pure, e lo è, un patrimonio sterminato. Sarà pure, e lo è, una delle pagine più contorte del perverso rapporto tra mafia e politica in Sicilia. Quindici anni per un processo di misure di prevenzione, personale e patrimoniale, sono comunque troppi "persino" per una figura controversa qual è stata quella di Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, ex sindaco mafioso di Palermo. Coccolato dalla Procura di Palermo nel corso di una lunga stagione, quella sulla Trattativa Stato-mafia, e picconato dai giudici che hanno mandato in frantumi la sua credibilità. Per anni Ciancimino junior ha portato a spasso i pubblici ministeri lungo il tortuoso percorso delle sue memorie. Una "quasi icona dell'antimafia", lo aveva definito l'allora procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Nel frattempo Ciancimino junior ne combinava di cotte e di crude. Ad esempio nascondeva della dinamite nel giardino di casa e calunniava l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, taroccando un documento segretissimo attribuendolo al padre.
Gli interrogatori si susseguivano. Ad ogni incontro una nuova rilevazione scoppiettante e farloca. Alcune davvero ridicole come quando giurò di avere riconosciuto nel segretario generale del Quirinale il fantomatico “signor Franco”, uomo misterioso e mai identificato dei nefasti accordi. Ora i giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo dicono che Massimo Ciancimino non è più socialmente pericoloso. Esito scontato visto che la richiesta di applicare la sorveglianza speciale è vecchia quasi quanto quella di confiscare i beni, per altro già quasi tutti bloccati in sede penale. In gergo tecnico si chiama “perimetrazione cronologica”. La pericolosità sociale deve essere attuale e ormai da anni Massimo Ciancimino, scrivono i giudici, è fuori dai circuiti criminali, al netto di qualche sospetto o poco più. È stato la longa manus del padre quando, partendo dall'affare della metallizzazione dei comuni siciliani, don Vito creò un impero. Sono andate in confisca società, in Italia e all'estero, immobili e chi più ne ha più ne metta. Un vorticoso giro di soldi spesso anche per assecondare i capricci del figlio, che ha comprato yacht e Ferrari.
È stato pericoloso, ma oggi non lo è più. Dunque niente sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. Ad onor del vero Massimo Ciancimino un periodo di sorveglianza speciale lo ha pure scontato. E probabilmente ha pure subito un torto. Il collegio un tempo presieduto da Silvana Saguto, l'ex magistrato travolto dallo scandalo, radiato e condannato, decise la misura temporanea. La legge prevedeva una nuova valutazione nei 30 giorni successivi. Non fu fatta. Solo tre anni dopo nel 2015, quando Silvana Saguto fu sostituita, la sorveglianza speciale venne revocata da nuovo collegio. Non sbaglia l'avvocato di Ciancimino, Roberto D'Agostino, quando dice che si trattò di “un provvedimento in violazione di legge contro cui non ci siamo potuti difendere perché di fatto un provvedimento non c'era”. Ed ecco un'altra delle questioni centrali: l'inchiesta che ha azzerato le storture sistema delle misure di prevenzione ha rallentato il processo. Circostanza che, da sola, non può bastare a giustificare i tempi infiniti della giustizia. Il processo è stato sospeso per otto anni e mezzo in attesa che venisse depositata la perizia sui beni. Troppi per una giustizia che vuole davvero essere giusta.