L'8 marzo delle detenute, mentre si muore ancora in carcere
Cifre e storie. L'affollamento, le dipendenze, i figli e il nodo della salute. I dati nel primo Rapporto sulle donne detenute in Italia dell'associazione Antigone. Intanto una donna è morta in cella a Rebibbia
Alla vigilia della giornata internazionale della donna, una detenuta è stata trovata morta in cella, nella sezione femminile del carcere di Rebibbia. Aveva gravi problemi di tossicodipendenza e non era la sua prima volta in prigione. La garante dei detenuti di Roma, Gabriella Stramaccioni, ha scritto su Facebook: "Era in carcere da 3 giorni in isolamento sanitario (previsto dalle norme anti Covid). 47 anni, una vita faticosa e dolorosa". E all'Ansa ha spiegato che "ieri pomeriggio ha accusato un malore. Intorno alle 23.30 è stata visitata in carcere dal medico ma è poi rimasta in cella, sempre in isolamento. Questa mattina è stata trovata nel letto priva di vita. Questo grave episodio conferma che soggetti con patologie di questo tipo non possono essere 'assorbite' e curate dal carcere".
Quello di ieri non è un caso isolato. Nelle nostre prigioni ci sono donne che avrebbero bisogno di cure più che di carcere. Il 14,9 per cento delle detenute è tossicodipendente. E poi ci sono i troppi atti di autolesionismo, 31 ogni 100 presenti (contro i 15 degli istituti maschili), e i troppi suicidi in carcere, anche nei reparti femminili. Nell'anno appena trascorso in cinque si sono tolte la vita all’interno di un istituto di pena (ci fu un solo episodio nel 2020 e uno nel 2021). Due di loro soffrivano di disagio psichico, altre due avevano problemi di tossicodipendenza. Nel caso di una 27enne che si è uccisa una notte nel carcere di Verona, il magistrato di sorveglianza ha ammesso che il sistema aveva fallito e che quello non era il luogo adatto a lei.
Questi numeri e le tragiche storie da cui provengono sono raccolti nel primo Rapporto sulle donne detenute in Italia, pubblicato oggi dall'associazione Antigone, la onlus “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”. Il tema della sanità in carcere è uno di quelli più scottanti. Le donne con diagnosi psichiatriche gravi sono il 12,4 per cento delle presenti, contro il 9,2 per cento dei presenti in tutti gli istituti visitati dagli osservatori di Antigone nel 2022, e fanno regolarmente uso di psicofarmaci il 63,8 per cento delle presenti, contro il 41,6 del totale. Dati che mostrano un disagio enorme.
Il femminile di Rebibbia, dove ieri è morta la detenuta, è il più grande d’Europa. Ci sono 334 carcerate anche se la sua capienza regolamentare è di 275 posti. L’affollamento carcerario è un problema annoso per l'Italia e le sezioni femminili non fanno eccezione: il tasso d'affollamento rilevato durante le visite di Antigone è risultato essere del 115 per cento, contro il 113,7 per cento degli uomini. Il dato ufficiale per gli istituti femminili sarebbe del 112,3 per cento, superiore al tasso di affollamento ufficiale generale delle carceri italiane (pari al 109,2 per cento, e tuttavia inferiore a quello reale vista la mancata considerazione dei posti letto inutilizzabili).
In Italia ci sono 8 donne detenute ogni 100mila abitanti donne (gli uomini sono 182 ogni 100mila. Le donne, ormai da anni, sono il 4,2 per cento del totale dei detenuti. Nessuna sorpresa, fin qui: il carcere è un luogo maschile. Erano 2.392 le donne presenti negli istituti penitenziari italiani al 31 gennaio 2023, di cui 15 madri con 17 figli al seguito. Le quattro carceri femminili di Trani, Pozzuoli, Roma e Venezia ospitano 599 donne, un quarto del totale. Nove madri detenute si trovano nell’istituto a custodia attenuata di Lauro e altre cinque donne sono in altri tre piccoli Icam. Le 1.779 detenute rimanenti sono sostanzialmente distribuite nelle 44 sezioni femminili all’interno di carceri maschili. Sono dodici le detenute al 41 bis, tutte all'Aquila. Sono lo 0,5 per cento del totale della popolazione femminile reclusa. Una percentuale circa tre volte inferiore a quella maschile. Una donna su dieci è in alta sicurezza.
C'è una cifra, tra quelle citate, che vale la pena osservare più da vicino perché illumina un fenomeno da tenere a mente. E' quello dei bambini più piccoli di un anno che vivono in carcere con le loro madri. È stata la pandemia a ridurne il numero: siamo passati dai 48 della fine del 2019 ai 29 della fine del 2020, sino a raggiungere i 17 di oggi. E' un dato interessante perché mostra come, al di là delle norme, per risolvere il problema si debba e si possa lavorare nella prassi della magistratura agendo caso per caso sulle singole situazioni.