il caso

L'archiviazione di Giani dimostra che una giustizia senza sputtanamento è possibile

Ermes Antonucci

Il governatore della Toscana è stato indagato e poi archiviato nell'inchiesta sulle concerie, senza che la notizia dell'avviso di garanzia finisse sui giornali producendo la solita gogna. Ma Fratelli d'Italia insorge

Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, è stato indagato con l’accusa di corruzione elettorale, ma la sua posizione è stata archiviata dal gip nel giro di poche settimane su richiesta degli stessi pubblici ministeri. Tutto ciò è avvenuto senza che la notizia dell’avviso di garanzia finisse sui giornali (magari ancor prima che l’interessato ne venisse a conoscenza) e senza che il governatore fosse sputtanato sulle prime pagine dei giornali, come da italica tradizione. Una vicenda da risultare incredibile: anche in questo paese è possibile essere sottoposti a un procedimento penale senza essere vittima del tritacarne mediatico-giudiziario.

 

A rivelare la notizia è stato il quotidiano la Nazione. Il 10 novembre Giani aveva ricevuto un avviso di garanzia, venendo a sapere di essere indagato nell’ambito dell’inchiesta sullo smaltimento degli scarti conciari di Santa Croce sull’Arno (Pisa). Il reato contestato era quello di corruzione elettorale e ruotava intorno all'emendamento alla legge regionale 20/2006 relativo ai rifiuti delle concerie, approvato nel maggio 2020 dal Consiglio regionale (allora presieduto dallo stesso Giani) con una procedura secondo l’accusa “non conforme ai regolamenti”, e “di fatto impedendo alle opposizioni di conoscere il contenuto prima della votazione”.

 

Al governatore veniva contestata anche la partecipazione a una cena del marzo 2020 a Santa Croce e a un altro appuntamento elettorale del luglio successivo, in cui i conciatori avrebbero ottenuto la promessa della conferma di Ledo Gori quale capo di gabinetto della Regione: una nomina che per i destinatari della promessa, sempre in base alle prime ricostruzioni della procura, “costituiva la garanzia di poter proseguire nella propria attività illecita di gestione degli impianti di trattamento dei reflui”.

 

Quattro giorni dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia, il 14 novembre scorso, Giani si è presentato in procura a rendere un interrogatorio. Ai pm il governatore ha spiegato di non essere stato a conoscenza del contenuto dell’emendamento contestato, spiegando di aver svolto “un ruolo di natura notarile”, “senza una verifica nel merito, non essendo il mio compito”. Ha poi dichiarato di non sapere che gli uffici tecnici avevano già espresso seri dubbi di costituzionalità, e che “dopo essere divenuto presidente della Giunta, presi l'iniziativa di portarlo alla revoca”. Riguardo Gori, infine, il governatore ha detto di aver voluto “rinnovare alcune figure ma anche assicurare la continuità amministrativa”.

 

I chiarimenti di Giani hanno convinto i pubblici ministeri, che hanno chiesto l’archiviazione della sua posizione, poi accolta dal giudice delle indagini preliminari nelle scorse settimane.

 

Se Giani si è limitato a prendere “atto del serio lavoro dei magistrati”, Fratelli d’Italia è insorta: “Perché il presidente della Regione Eugenio Giani non ha mai detto di essere finito nel registro degli indagati nell'ambito dell'inchiesta Keu?”, hanno dichiarato in una nota il capogruppo di FdI nel Consiglio regionale toscano Francesco Torselli, assieme ai consiglieri Vittorio Fantozzi, Alessandro Capecchi e Gabriele Veneri, annunciando un’interrogazione. “E’ un insulto al Consiglio regionale”, hanno aggiunto i consiglieri di FdI, imputando a Giani di aver “omesso una informazione che non doveva essere celata in questo modo considerando la gravità delle imputazioni giudiziarie presenti nell'inchiesta”.

 

Insomma, per Fratelli d’Italia Giani avrebbe dovuto rivelare di aver ricevuto l’avviso di garanzia (un atto che, va ricordato, avrebbe come unica finalità quella di tutelare l’indagato), permettendo agli organi di informazione e alla politica di dar vita a una grande opera di sputtanamento nei suoi confronti, per poi essere archiviato qualche settimana dopo nell’indifferenza generale. E menomale che al partito di Meloni si definiscono “garantisti durante le indagini”.

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