Davigo conta più della legge: Storari assolto per i verbali segreti di Amara
Assoluzione definitiva per il pm milanese Storari, che consegnò a Davigo i verbali di Amara coperti da segreto: per i giudici fu indotto a farlo proprio dall'allora membro del Csm, quindi è scusabile. La dottrina Davigo si è sostituita alla legge
E' diventata definitiva l'assoluzione del pm di Milano Paolo Storari dall’accusa di rivelazione di segreto d’ufficio, per aver consegnato nell’aprile 2020 all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo (imputato in un altro processo per la medesima vicenda) i verbali secretati degli interrogatori resi dall’avvocato Piero Amara sulla fantomatica “loggia Ungheria”. Storari, che ha scelto il rito abbreviato, era stato assolto in primo grado e in appello. Essendo scaduti i termini di impugnazione, la sentenza dello scorso 3 novembre della corte d’appello bresciana è passata in giudicato.
Come ormai noto, la consegna dei verbali secretati a Davigo venne motivata da Storari con l’esigenza di autotutelarsi dall’inerzia, a suo dire, praticata dai vertici della procura (l’allora capo Francesco Greco e l’aggiunto Laura Pedio) attorno all’inchiesta.
I giudici di primo grado e di appello hanno ritenuto Storari non colpevole in virtù dell’assenza dell’elemento soggettivo del reato di rivelazione di segreto: in altre parole, Davigo indusse Storari a consegnarli i verbali rassicurandolo sulla correttezza della procedura seguita, sostenendo che il segreto investigativo sui verbali secretati non era a lui opponibile in quanto componente del Csm. E come dubitare, scrivono i giudici d’appello, dell’assicurazione proveniente da un magistrato “dall’indiscutibile spessore” come Davigo, membro del Csm, già presidente di sezione della Cassazione e presidente dell’Associazione nazionale magistrati?
Una motivazione piuttosto singolare e dai risvolti paradossali. Mettiamo che un uomo decida di realizzare consapevolmente una truffa. Per essere assolto da ogni accusa basterà che dimostri di aver parlato prima con un magistrato “dall’indiscutibile spessore”, che lo ha rassicurato sulla correttezza dei suoi comportamenti. Insomma, la dottrina delle toghe, anzi, la dottrina Davigo si è sostituita alla legge.
Il caso Storari è ancor più grave perché qualsiasi magistrato sa (o almeno dovrebbe sapere) che il Csm non è affatto l’organo deputato a risolvere i conflitti che riguardano la gestione delle indagini all’interno di una procura, ma questa competenza spetta alla procura generale. Nonostante ciò, Storari decise di rivolgersi a Davigo.
Quest’ultimo, anziché indicare al pm milanese la strada giusta da seguire, lo convinse dell’inopponibilità del segreto ai componenti del Csm. Così Storari, senza neanche porsi due domande, si recò nell’abitazione di Davigo e gli consegnò la pen drive contenente gli atti di indagine ancora secretati. Un capolavoro.
Davigo rassicurò Storari sul fatto che avrebbe agito da tramite con il comitato di presidenza del Csm, anche se due circolari dell’organo ammettono la trasmissione al Consiglio di atti coperti da segreto istruttorio soltanto attraverso la sottoposizione del caso con plico riservato al comitato di presidenza, e non in modo informale a un singolo consigliere (atti che comunque, lo ripetiamo, non possono riguardare la gestione delle indagini, ma solo eventuali profili di disciplinari di magistrati indagati).
In maniera ancor più incredibile, i giudici d’appello rafforzano la tesi dell’affidabilità di Davigo evidenziando come anche gli altri consiglieri del Csm a cui Davigo rivelò in seguito il contenuto dei verbali segreti si siano “fidati e interamente affidati alla interpretazione del collega”. Di nuovo: quel che dice Davigo è legge.
Peccato, a dir la verità, che il gup di Roma abbia chiesto ai pm romani di valutare proprio eventuali profili penali nella condotta dei due consiglieri in questione, Giuseppe Cascini e Giuseppe Marra. Entrambi, per il gup, si sarebbero resi responsabili del reato di omessa denuncia (altro che “dottrina Davigo”). Marra anche di quello di soppressione di corpo del reato.
Insomma, la vicenda Storari restituisce un’immagine della giustizia italiana ancor più incomprensibile, in cui ai magistrati sembra essere permesso tutto, a differenza dei normali cittadini.