il dibattimento
Al processo contro Davigo sembra di stare su Marte
A Brescia sentiti come testimoni l'ex procuratore di Milano, Francesco Greco, e l'ex pg della Cassazione, Giovanni Salvi. E' emerso ancora una volta lo spaccato di una magistratura che si muove in completa anarchia
Si è avuta di nuovo la sensazione di stare su Marte ieri al tribunale di Brescia, ascoltando gli interventi dell’ex procuratore di Milano, Francesco Greco, e dell’ex procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, sentiti come testimoni nel processo che vede Piercamillo Davigo accusato di rivelazione di segreto d’ufficio per il caso dei verbali segreti di Piero Amara, ricevuti dal pm milanese Paolo Storari, sulla fantomatica “loggia Ungheria”.
L’ex dirigente della procura meneghina ha ribadito davanti ai giudici di non aver mai impedito di indagare sulla presunta loggia al sostituto Storari, che invece consegnò a Davigo i verbali di Amara per autotutelarsi, a suo dire, proprio da un freno messo dai vertici del suo ufficio alle indagini. “Quando Storari viene da me a parlarmi di iscrizioni il giorno dopo fisso la riunione: in quale posto del cervello fissa che non volevo farle?”, si è domandato Greco, stizzito, davanti alla corte presieduta da Roberto Spanò. Greco ha riferito che Storari fece una delega alla polizia giudiziaria per identificare i membri della presunta loggia Ungheria soltanto il 24 aprile 2020. Poi, ha raccontato Greco, “il 28 aprile ricevo un ordine di iscrizione firmato e fisso per il 29 aprile una riunione per decidere le iscrizioni”. Insomma, non ci sarebbe stata nessuna inerzia.
Storari, però, ha sempre raccontato di aver sollecitato più volte, fin dal dicembre 2019, le indagini sulle dichiarazioni rese da Amara, ma di aver trovato da parte di Greco e dell’aggiunto Laura Pedio “un muro di gomma”, anche perché nel frattempo era in dirittura d’arrivo il processo Eni-Nigeria (che poi si sarebbe concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati).
Gli interrogatori di Amara si susseguono fino al gennaio 2020, ma in quelle affermazioni, ha detto Greco, “ci sono delle cose che bisogna assolutamente approfondire: si parla di una loggia di cui non si conoscono le regole, chi li elegge, questa associazione voleva fare tante cose ma non riusciva a fare nulla. Dissi di continuare a interrogarlo, ma di cercare dei riscontri soprattutto esterni”. Il fatto singolare è che Greco non mostrò la stessa cautela sulle rivelazioni di Amara che riguardavano Eni. Fu proprio Greco infatti, con l’aggiunto Pedio, a fine gennaio 2020, in pieno dibattimento del processo contro il colosso petrolifero, a trasmettere alla procura di Brescia un verbale in cui lo stesso Amara faceva riferimento a presunte “interferenze delle difese Eni” sul giudice Marco Tremolada, presidente del collegio giudicante.
Come se non bastasse, i pm De Pasquale e Spadaro chiesero, senza successo, di ascoltare in aula Amara, proprio per permettergli di riferire sulle presunte interferenze. Insomma, le parole di Amara sulla loggia Ungheria avevano (giustamente) bisogno di “riscontri esterni”, quelle che mettevano in dubbio la terzietà dei giudici del processo Eni invece no (l’inchiesta aperta a Brescia venne poi archiviata proprio per l’inattendibilità di Amara).
Altrettanto paradossale la testimonianza resa da Giovanni Salvi. L’ex pg della Cassazione ha raccontato che Davigo gli parlò, nel cortile del Csm, dell’esistenza di un procedimento originato dalle affermazioni di Amara su una “loggia molto potente e pericolosa di cui facevano parti figure istituzionali tra cui alti esponenti delle forze armate, magistrati e due esponenti del Csm quali Mancinetti e Ardita. Secondo lui questo procedimento languiva, io ascoltai con molta preoccupazione”. Davigo non mostrò a Salvi i verbali, né quest’ultimo chiese al primo come facesse a sapere di problemi riguardanti un’indagine in corso coperta da segreto.
“Farò quello che devo fare”, ha detto di aver risposto Salvi a Davigo. Cosa fece? Il 25 maggio 2020 chiamò Greco, che lo rassicurò sull’andamento delle indagini. Verrebbe da chiedersi sulla base di quale normativa il pg della Cassazione contattò direttamente il capo di una procura per chiedergli chiarimenti su un’indagine in corso, ma sarebbe tempo perso.
Dalla vicenda Davigo-Storari emerge lo spaccato di una magistratura che si muove in completa anarchia: pm che consegnano atti coperti da segreto a consiglieri del Csm; consiglieri del Csm che rivelano il contenuto di questi atti segreti a colleghi e non solo; capi delle procure che valutano la credibilità di dichiarazioni raccolte in base alla loro convenienza processuale; procuratori generali della Cassazione che telefonano direttamente ai procuratori per chiedere chiarimenti su indagini in corso. Marte, appunto.