La riforma Cartabia della giustizia tributaria verso il flop: mancano i giudici
Il bando per far transitare definitivamente 100 magistrati alla giustizia tributaria ha registrato soltanto 34 domande, e alcune potrebbero pure essere ritirate. Coperture d'organico a rischio
La riforma della giustizia tributaria rischia di partire con una clamorosa débâcle. Il provvedimento, approvato alla fine della scorsa legislatura su proposta della ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha previsto la professionalizzazione dei giudici tributari, da reclutare tramite concorsi, e ha offerto la possibilità per 100 degli attuali giudici togati (ordinari, amministrativi, contabili e militari) di transitare definitivamente alla giustizia tributaria. Il bando per il transito ha registrato però soltanto 34 domande, facendo emergere anche un problema sul piano della democrazia interna.
Come evidenziato nei giorni scorsi su queste pagine, infatti, la riforma ha previsto che il futuro Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (Cpgt) comprenda anche quattro giudici eletti fra le toghe provenienti dalle altre giurisdizioni. Tra i giudici che hanno chiesto di passare al tributario, però, solo due provengono dalla giustizia militare e contabile. Essendo gli unici in corsa, i due sarebbero andati automaticamente a far parte del Cpgt.
Uno di questi, per giunta, sarebbe stato Massimiliano Atelli, magistrato contabile, attualmente capo di gabinetto del ministro dello Sport, Andrea Abodi. Atelli si sarebbe quindi ritrovato a rivestire entrambi gli incarichi: sia di consigliere dell’organo deputato alla tutela dell’indipendenza dei giudici tributari, sia di collaboratore di un ministro del governo. Viste le distorsioni prodotte dalle norme, mercoledì pomeriggio in commissione Bilancio al Senato sono stati approvati due emendamenti identici proposti da Pd e Fratelli d’Italia che eliminano la quota di riserva di quattro giudici al Cpgt. Gli emendamenti recitano: “Sono eleggibili nella componente togata i soli giudici tributari e magistrati tributari che possano ultimare la consiliatura prima del collocamento a riposo”. L’eliminazione della quota di riserva, tuttavia, rischia di spingere alcuni dei (pochi) giudici che avevano scelto di transitare al tributario a rinunciare, facendo così diminuire ulteriormente la quota dei nuovi togati.
Come se non bastasse, il plenum dell’attuale Cpgt è in attesa di ricevere risposta dall’Avvocatura generale dello stato su un parere, richiesto il 15 marzo scorso, sui requisiti che devono possedere i magistrati che intendono transitare alla giustizia tributaria. La nuova legge stabilisce che i magistrati provenienti dalle altre giurisdizioni non devono aver ricevuto negli ultimi cinque anni un giudizio di demerito. Il Cpgt intende sapere se il passaggio al tributario debba essere negato a chi ha subito sanzioni disciplinari, anche non ancora diventate irrevocabili. Rientrano in quest’ultima categoria alcuni magistrati coinvolti nello scandalo Palamara, come Cosimo Ferri, Gianluigi Morlini e Antonio Lepre. Dovesse prevalere la linea meno “garantista”, questi non potrebbero passare alla giustizia tributaria.
A quel punto, se transitassero meno di 30 magistrati, il fallimento della riforma potrà dirsi definitivo, e a confermarlo sarebbero le scoperture d’organico nelle varie commissioni di giustizia tributaria.
Un’ultima nota di colore, se così può chiamarsi: scorrendo i nomi dei magistrati che hanno chiesto di transitare al tributario ci si imbatte anche nel nome di Luigi Scimè, coinvolto nell’inchiesta sulla “giustizia svenduta” al tribunale di Trani, insieme all’ex capo della procura tranese, Carlo Maria Capristo, e il gip Michele Nardi. Tutti e tre erano stati condannati in primo grado dal tribunale di Lecce a pene molto alte con l’accusa di corruzione in atti giudiziari (dieci anni di reclusione per Savasta, quattro per Scimè, sedici anni e nove mesi per Nardi), prima che le sentenze fossero annullate e i procedimenti trasmessi per competenza territoriale a Potenza.