Perché il caso della gip di Latina arrestata riguarda anche il Csm
Per condizionare i pm, la giudice si rivolse anche ad Aldo Morgigni, ex componente del Consiglio superiore della magistratura, ma le intercettazioni (a differenza di tutte le altre) non sono state trascritte dagli inquirenti perugini. Come mai?
Chiama in causa direttamente il Consiglio superiore della magistratura l’indagine della procura di Perugia che, pochi giorni fa, ha portato all’arresto in carcere della giudice per le indagini preliminari di Latina, Giorgia Castriota, con le accuse di atti contrari a doveri di ufficio, corruzione in atti giudiziari e induzione indebita a dare o promettere utilità. La giudice è accusata di aver messo in piedi un sistema per la gestione delle procedure fallimentari che le consentiva di conferire incarichi a persone con cui intratteneva rapporti personali consolidati e poi ricevere da quest’ultime parte dei compensi da loro percepiti. Di questo sistema avrebbero fatto parte la gip, il consulente Silvano Ferraro (legata alla giudice da un rapporto sentimentale), l’amica imprenditrice Stefania Vitto e l’amministratore giudiziario Stefano Evangelista. In altre parole, la giudice Castriota nominava o faceva nominare il suo compagno e i suoi amici come amministratori giudiziari, rappresentati legali o coadiutori nelle società sequestrate, ottenendo in cambio parte dei compensi da questi percepiti, gioielli, regali, viaggi e altre utilità.
L’attenzione dei giornali si è molto concentrata sui doni ricevuti dalla giudice (dal rolex da seimila euro all’abbonamento in tribuna autorità allo stadio della Roma) e sulla sua tendenza a vivere costantemente al di sopra delle proprie possibilità economiche, accumulando debiti su debiti. Eppure, ci sono diversi aspetti che chiamano in causa il Csm.
A inceppare il meccanismo messo in piedi da Castriota sarebbe stata la decisione di un’altra giudice del tribunale di Latina di dichiarare l’incompetenza territoriale di uno dei principali procedimenti gestiti da Castriota, in favore del tribunale di Velletri. L’evento getta nel panico Castriota, impaurita che anche l’amministrazione giudiziaria possa passare a Velletri, facendo venire meno il giro illecito di prebende. La gip, così, giunge a sollecitare i pm della procura di Latina a mandare un’istanza di sequestro a cui lei è disponibile a rispondere praticamente in tempo reale, chiedendo anche ai pm stessi di fare pressione sulla Guardia di Finanza affinché ritardi l’esecuzione di un precedente dissequestro disposto dalla procura di Velletri.
Dopo aver interloquito con i pm Marco Giancristofaro e Andrea D’Angeli, la gip arriva a rivolgersi direttamente al procuratore aggiunto Carlo Lasperanza (tutti e tre non indagati), premendo perché la procura sia celere nel presentare l’istanza di sequestro delle stesse società e di altre collegate, così da mantenerne il controllo, tanto da predisporre già la misura cautelare da applicare. Le cose si complicano quando sia D’Angeli e poi, soprattutto, il procuratore capo di Latina, Giuseppe De Falco, ritengono che il decreto del gip sia un provvedimento ultra petita, ossia oltre il richiesto.
Tutte queste conversazioni (intercettate) tra la gip e i pm, e tra lei e i suoi sodali vengono riportate con dovizia di particolari nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Perugia, Natalia Giubilei, su richiesta della procura diretta da Raffaele Cantone.
La citazione delle conversazioni, però, si interrompe bruscamente quando emerge che la gip Castriota, nell’intento di risolvere la questione a suo favore, ha telefonato anche ad Aldo Morgigni, ex componente del Csm, oggi in servizio alla Corte d’appello di Roma e con un passato alla procura di Latina. Castriota si rivolge a lui “al fine di chiedergli un consiglio, raccontandogli tutta la vicenda, domandandogli se fosse possibile interloquire con il procuratore generale della Corte d’appello di Roma, Salvatore Vitello”, nella speranza che quest’ultimo effettuasse una “moral suasion” sul procuratore di Latina e su D’Angeli. Mentre tutte le altre conversazioni sono riportate nell’ordinanza, questa stranamente non viene trascritta. L’ordinanza specifica poi che non ci sono evidenze investigative che dimostrano che la gip Castriota abbia interloquito con il procuratore generale.
Da qui sovvengono alcune ovvie domande. Per quale motivo la telefonata tra Castriota e Morgigni, a differenza di tutte le altre, non è stata trascritta? I magistrati, per giunta ex membri del Csm, godono per caso di un diverso trattamento in tema di intercettazioni? E poi: la procura di Perugia guidata da Cantone ha inviato tutti gli atti al Csm affinché sia valutata la condotta dei magistrati coinvolti, inclusi Morgigni e Vitello? Interrogativi che meriterebbero una risposta.
La disputa dei paesi sicuri