la Lega e la Russia
Savoini è innocente, quello che la Lega faceva con Putin no
Per la Lega salviniana la politica internazionale non è mai stata il risultato di un esame del posizionamento del paese e dei suoi interessi, è stata trattata come un esercizio puramente propagandistico, il che ha portato agli errori che sono sotto gli occhi di tutti
L’inchiesta sul caso Metropol si è conclusa con l’archiviazione. Quattro anni fa l’esponente leghista Gianluca Savoini si era incontrato, insieme all’avvocato Gianluca Meranda e a Francesco Vannucci, nel noto hotel moscovita, con esponenti dell’establishment russo, per trattare su una compravendita di petrolio. Si era ipotizzato che dai proventi dell’affare sarebbe derivata una tangente destinata a finanziare la Lega. L’affare non fu concluso, si trattava solo di colloqui preliminari cui non è poi seguita alcuna trattativa effettiva: per questo non si sono riscontrati elementi di reato e il gip ha quindi accolto la richiesta di archiviazione presentata dalla stessa accusa. La vicenda giudiziaria è finita come doveva finire. Ma, come abbiamo fin dall’inizio sostenuto sul Foglio, non era questo il tema in discussione, ma il rapporto politico della Lega, e del suo leader Matteo Salvini con il partito di Vladimir Putin.
All’epoca degli incontri moscoviti di Savoini, Salvini era vice presidente del Consiglio, il che rendeva i rapporti speciali del suo partito con la Russia un problema per gli alleati occidentali, con effetti devastanti per la credibilità internazionale dell’Italia. Quei rapporti sono continuati anche dopo l’aggressione all’Ucraina, e la Lega ha cercato di presentarli come uno strumento per tenere aperto uno spiraglio per una trattativa di pace. Solo recentemente Salvini si è allineato in modo convincente con la linea atlantista del governo, il che rende un po’ grottesche le sue dichiarazioni in cui chiede che chi lo ha accusato per la vicenda Metropol si scusi. In realtà a scusarsi dovrebbe essere lui, per avere insistito in una relazione politica sbagliata e pericolosa, dalla quale non ha tratto nulla di positivo per sé, e questo sarebbe il meno, e ha causato un danno all’immagine dell’Italia.
Probabilmente queste relazioni non avevano nemmeno una ragione strategica, rispondevano più che altro alla volontà di distinguersi, dal fare notizia, di tentare qualche strada inusitata (o abbandonata da quelli che erano stati per decenni collegati alla Russia dei soviet). Per la Lega salviniana la politica internazionale non è mai stata il risultato di un esame del posizionamento del paese e dei suoi interessi, è stata trattata come un esercizio puramente propagandistico, il che ha portato agli errori che sono sotto gli occhi di tutti. Si è passati dal presunto asse con i bavaresi dei tempi del Bossi secessionista alla lotta di liberazione dall’asse franco tedesco della fase successiva, senza nessuna spiegazione e nessuna analisi. Ora, più o meno convintamente, anche la Lega sostiene la Nato e cerca un ruolo propositivo in Europa, ma questo più che merito suo è l’effetto dell’azione e delle posizioni nette dei suoi alleati naturali (e obbligati).
Chiudere il caso Savoini, va bene, ma bisognerebbe farlo non solo sul piano giudiziario ma anche su quello politico, e se Salvini cogliesse l’occasione non per recriminazioni e vittimismi fuori luogo ma per esprimere in modo compiuto e senza residui il superamento della fase di vicinanza alla Russia e l’adesione a una politica occidentale senza troppe condizioni e ambiguità. Un partito che governa e che punta a reggere per l’intera legislatura non può permettersi leggerezze, per usare un eufemismo, nella politica internazionale, specialmente in una fase difficile come quella attuale, e sarebbe bene che Salvini se ne rendesse conto finalmente.
la mappa dello spionaggio